Di Sergio

15 aprile 2019

Una data che rimarrà incisa sulle pagine di storia, quelle che i nostri nipoti studieranno sui futuri banchi di scuola, quando tornati a casa potrebbero chiederci: “tu quel giorno dov’eri?”, oppure, “cosa avete fatto dopo?”. Prepariamoci alla risposta che daremo, perché solo da noi dipende in quale voce del capitolo sarà inserito il disastro di Notre-Dame di Parigi, se in quello della “rinascita dell’Europa” o in quello della “fine dell’Europa”. Ma prima di andare avanti è necessario guardare dietro, seguire il sentiero a ritroso, alla ricerca di quel filo conduttore che ci porta alle radici. Quelle radici che rendono, oggi, la cattedrale parigina un simbolo non solo della Francia ma dell’Europa intera. Un simbolo da cui ripartire.

Ci accompagnerà in questa escursione un testimone d’eccezione, Dominique Venner, il nostro Virgilio per questo viaggio in profondità.

Ab origine:

La cattedrale metropolitana di Nostra Signora (in francese Notre-Dame), sorge nel cuore di Parigi, più precisamente sulla “Île de la Cité”. Cuore è il termine più appropriato per questo luogo, letteralmente “isola della città”, poiché è qui che inizia la nostra storia, la storia stessa di Parigi. Per via della sua posizione strategica per passare da una sponda all’altra della Senna, l’isola fu fin dai tempi più antichi luogo d’insediamento per le prime tribù celtiche dei “Parisi” (o Quarisi) che giunsero lì già nel III secolo a.C. I celti fondarono il primo nucleo della città di Lutecia, il più antico. Fu nel 52 a.C., che la città fu conquistata da Giulio Cesare nel quadro ben più ampio delle Guerre Galliche.

Con la romanizzazione giunse la costruzione di una città vera e propria, sul modello tipico della scacchiera quadrata cinta da mura. Già nel II secolo furono innalzati i primi edifici tra cui, proprio sull’isola, il tempio dedicato a Giove. Un luogo sacro quindi, fin dai tempi più antichi. Qui si innestò il paganesimo celtico, il paganesimo romano ed infine, nel III secolo d.C., il cristianesimo al seguito di San Dionigi (Saint Denis), primo vescovo della città.

Se qualcuno ora potrebbe storcere il naso, è proprio Venner che corre a darci una mano: “Sotto delle apparenze cristianizzate, erano sopravvissuti dappertutto i culti ‘pagani’ ancestrali. Le pietre miracolose e le fonti sacre continuano ad attirare le folle, e le fate buone sopravvivevano sotto le sembianze della Vergine”. Lo capirono molto bene i padri della Chiesa che durante l’evangelizzazione dell’Europa trasmutarono una religione di rinuncia, fondamentalista e anti-umana, che aveva nella sua prima ondata portato il furore iconoclasta sulle bellezze del mondo antico, in una religione che potesse sublimare e contemplare anche il “diabolico” mondo pagano. Fu così che antichi luoghi di culto divennero le fondamenta delle future chiese e cattedrali. Così sorse, per esempio, l’abbazia di Montecassino: fondata nel 529 da San Benedetto di Norcia sopra un tempio di Apollo; oppure la stesso calendario liturgico, basato sulle antiche festività pagane come il “Dies Natalis Solis Invicti”. Fu durante il regno di Neustria, guidato dai re della dinastia Merovingia, che la Île de la Cité divenne il centro della nuova “Parigi”, su cui fu eretta la prima cattedrale dedicata a Santo Stefano e una chiesa minore, consacrata alla Vergine Maria. Fu Maurice de Sully, vescovo di Parigi, a decidere la costruzione di una cattedrale più grande, che potesse ospitare tutti i fedeli di una città in forte espansione, capitale del nuovo Regno di Francia. La prima pietra fu posta nel 1163 e lo sforzo per la sua costruzione si protrasse fino al 1250, fino al 1344 se si considerano le opere di modifica e miglioramento. La consacrazione avvenne il 19 maggio 1182 da parte del legato pontificio Henri de Château-Marçay. Nel corso della prima celebrazione all’interno della cattedrale il patriarca di Gerusalemme Eraclio di Cesarea convocò la Terza Crociata.

Convinzioni:

Un luogo che quindi, oltre alla fede religiosa, si consacra alla volontà dell’uomo e lega l’idea al suo compimento. Dove pensiero e azione si incontrano nasce l’Arte: quella della musica espressa da un’orchestra polifonica, quella della poesia celebrata dai vecchi trovatori, quella di un pittore che colora la sua tela, quella del fabbro che batte sull’incudine una lama incandescente e quella aggraziata ed elegante di un passo di danza.“Un mucchio di sassi smette di essere un mucchio di sassi nel momento in cui un singolo uomo lo contempla, portando con sé l’immagine di una cattedrale”. Fu così che disse lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupèry. Solo un uomo con una convinzione, un sogno, può elevare una cattedrale. Le opinioni non bastano e forse, sono proprio queste che invece possono abbatterla. Un opinione qualsiasi come “è solo un mucchio di sassi”. Questo avranno pensato migliaia di persone in tutto il mondo, questo pensano oggi gli alfieri della globalizzazione che ormai da anni ci riempiono il cervello con i nuovi miti del dio denaro e della società multi-etnica fondata sull’integrazione, che per inciso va in fumo insieme alla guglia, quando i “nuovi francesi” di seconda generazione scattano selfie sorridenti o commentano con grasse risate le dirette del rogo.

Ma cos’è per noi oggi, la cattedrale di Notre-Dame?

Noi lo associamo ad una persona in particolare, proprio a Dominique Venner, una figura che si lega così tanto alla cattedrale, monumento della volontà, che sembrano confondersi. È qui che lo storico e giornalista francese decide di insorgere contro il fatalismo: “Offro quel che rimane della mia vita con un intento di protesta e di fondazione. Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali. Mentre tanti uomini si fanno schiavi della loro vita, il mio gesto incarna un’etica della volontà. Mi do la morte per risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità”.

Il 21 maggio 2013, Venner si dà volontariamente la morte, come “atto di protesta e fondazione” con lo scopo di risvegliare le coscienze e i cuori degli Europei addormentati, avvelenati nell’anima, sradicati dai loro ancoraggi identitari.

Ad andare perduti nel rogo non sono solo i rosoni e la guglia di Notre-Dame, ma la nostra identità di Europei. Un identità millenaria che viene sfigurata ogni volta che Enea diventa “profugo”, ogni volta che un dramma di Eschilo viene boicottato perché “razzista”, ogni volta che l’industria cinematografica e televisiva propone divinità nordiche di colore e centurioni romani dai tratti africani. Molti “nazionalisti” di casa nostra avranno riso vedendo quelle immagini, tirando fuori i peggiori tormentoni figli del mondo dell’opinione. Ma a questi individui, che evidentemente non riescono a distinguere Charlie Hebdo dal popolo francese, vogliamo ricordare che le campane a morto stanno suonando anche per lui. È l’Europa che brucia: in quella guglia che crolla vediamo spezzarsi non solo un simbolo della Francia, ma quello di un continente intero, una civiltà che va in fumo nel silenzio assordante di un centro commerciale pieno. Il 15 aprile è crollato un arco del Colosseo, si è sfigurata la Porta di Brandeburgo, è stata spezzata una colonna del Partenone. Qualcuno ci ha tolto una strofa dalla Commedia di Dante ed è stata cancellata una riga intera dallo spartito del Parsifal. Forse una caravella di Colombo è affondata, forse non è mai esistita. Ogni volta che un neurone del nostro cervello muore, è perso per sempre. La memoria sbiadisce ogni volta che una parte viene cancellata per essere sostituita da altro.

Ma è sempre Venner ad offrirci un esempio da poter seguire. È la sfida che pone il rogo di Parigi all’Europa: perire o rinascere. Secondo Venner il futuro dell’Europa dovrà basarsi sulla memoria condivisa dei popoli che la compongono. “Abbiamo in condivisione, fin da Omero, una nostra propria memoria, deposito di tutti i valori sui quali rifondare la nostra futura rinascita”. Appelliamoci a noi stessi, alle nostre radici e alle nostre nazioni. All’Italia in primis: “ci sentiamo europei in quanto italiani”, disse Benito Mussolini al Lirico di Milano, perché solo le Nazioni libere potranno offrire un’alternativa rivoluzionaria a questa UE e a questo Occidente. Scavare dentro di noi quindi, perché in un mondo che perde sempre di più l’ancoraggio all’identità e alla realtà si rende necessario ritrovare quello “spirito eterno che tali monumenti innalzò”, per usare ancora le parole del Duce del Fascismo. Sulle orme degli esempi immortali a cui la nostra visione del mondo può fare riferimento, “la giovane Europa, basata su una stessa Civiltà, un medesimo spazio ed un identico destino, sarà il focolare attivo dell’Occidente”, profetizza Venner. “La gioventù d’Europa avrà nuove cattedrali da costruire e un nuovo impero da edificare.”.

Porteremo anche noi una pietra a Notre-Dame.


Una delegazione del Blocco Studentesco il 16 aprile 2019 ha depositato in Via Parigi davanti al monumento della Caravella una corona di alloro con un giglio bianco ed un nastro con scritto “L’Europa risorga dalle ceneri”. Questo gesto simbolico rafforza il legame di sangue che unisce noi popoli europei dopo il tragico incendio accaduto alla cattedrale di Notre-Dame.