Di Sergio

Il Coronavirus ci pone di fronte ad un’inaspettata e nuova realtà.

Non parliamo solo delle stringenti norme dei decreti legislativi che limitano la circolazione, il lavoro e la scuola. Parliamo del capovolgimento di ciò che avevamo imparato a conoscere in questi anni in merito all’economia e alla globalizzazione.

Un mito già sfatato è quello delle frontiere: indovinate un po’, le frontiere servono. Lo sanno i francesi, lo sanno gli austriaci e gli sloveni, lo sanno i Greci che stanno affrontando una vera e propria aggressione migratoria orchestrata dalla Turchia.

Le frontiere servono eccome, anche a quei grandi alfieri dell’accoglienza Made in Soros che sono stati Francia e Germania. Il mito no border è stato annientato in meno di un mese dal Covid-19, l’unico essere vivente a cui non serve fare discriminazioni perché va dove trova le porte spalancate dalla stupidità.

Cosa ci ha insegnato la pandemia? Che il mondo dell’austerità europeista è una gran cazzata, che viene manovrata all’occorrenza per strozzare i governi non allineati. Ci ha pensato la Germania a riportarci, di colpo, alla realtà: ha infatti stanziato tout court 550 miliardi di euro (miliardi non milioni) per il sostegno alla sua economia. Lo ha fatto attraverso la sua banca pubblica (KfW, Kreditanstalt für Wiederaufbau). Veri e propri “aiuti di Stato”, demonizzati al solo accenno di pensiero e puniti con multe se noi proviamo a realizzarli.

Lo ha fatto con estrema rapidità, senza passare dalle lungaggini burocratiche che all’Italia impone l’UE. Il ministro delle finanze Olaf Scholz ha dichiarato che, se sarà necessario, saranno anche di più di 550 miliardi perché “non esiste un limite massimo alla quantità di credito che KfW può garantire”. Tutte misure che sono (di solito) malviste, ostacolate, ritenute sospette da Bruxelles e dalla BCE, viste come sintomi di sovranismo becero e cripto-fascismo. Ma di colpo vengono adottate da Berlino, per di più senza consultare i membri dell’eurozona.

Ma le sorprese non finiscono qui… Infatti, Peter Altaimer (Ministro dell’Economia) ha perfino raggiunto i limiti dell’eresia tirando in ballo il più grande spauracchio del mondo liberale: “nazionalizzazione”. Altmaier ha detto allo “Spiegel” che le aziende d’importanza strategica andrebbero nazionalizzate e, udite udite, rilocalizzate in patria. La crisi del coronavirus  ci ha insegnato che le nostre case farmaceutiche dipendono troppo dalle importazioni dall’Asia per i componenti principali; bisogna riportare i loro  siti di produzione in Europa: “L’idea giusta è ridurre al minimo le dipendenze unilaterali, per riconquistare la sovranità nazionale nelle aree sensibili”.

Qualcuno ha detto autarchia? Strano, di solito fanno un risolino sotto i baffi quando qualcuno pensa di poter tornare ad una, se non totale, ma almeno parziale autosufficienza nei comparti strategici. Il risolino è finito a quanto pare e con lui anche il coro univoco di condanna che di solito si alza da personaggi Ursula Van Der Leyen, Gentiloni, Sassoli nei confronti delle politiche retrogradi e protezioniste di certe canaglie come Trump, Orban e Johnson. Adesso è Berlino la canaglia? Cosa dirà l’Unione Europea?

A quanto pare invece Loro possono permettersi statalismo, protezionismo, nazionalismo economico. Noi no. Lo ha detto forte e chiaro Dombrovskis: “Non stiamo sospendendo il Patto di stabilità e di crescita, semplicemente usiamo tutta la flessibilità che prevede”. Il Patto che suona come un’istituzione orwelliana, cioè quello di Stabilità e Crescita, impedisce di fare ad uno stato indebitato tutto ciò che sta facendo adesso la Germania: iniezione di liquidità al sistema economico per mezzo di una banca di Stato e in misura illimitata.  Ci lasciano le briciole: 24 miliardi (soldi nostri), promettendo di non calcolare le spese per l’emergenza virus ai fini del saldo strutturale di bilancio: “COME È UMANO LEI” verrebbe da dire all’Ingegner Fantozzi.

Cosa aspettiamo noi? Per quanto ancora dobbiamo piegare il capo e ringraziare i nostri boia? L’emergenza Coronavirus ci ha riportato ad uno stato molto basilare dell’esistenza, che anni e anni di buonismo ci avevano nascosto sotto i veli del consumismo e dello show business, ovvero lo stato in cui o si vive o si muore. I confini servono, l’economia deve essere subordinata alla politica, la sovranità di una nazione non è cedibile. A quanto pare non erano solo strambe idee novecentesche, ora se ne stanno accorgendo sulla pelle di chi è morto perché Formigli potesse mangiare il suo involtino in diretta. Con le spalle al muro, il popolo italiano e i popoli europei devono ritrovare la forza di debellare la più grandi piaghe che il mondo abbia mai conosciuto: usura, liberismo, globalismo.