Di Gullo

La questione ambientale e la questione climatica sono state, negli ultimi mesi, al centro delle discussioni e del dibattito politico a causa della continua pressione mediatica a cui il mondo occidentale è sottoposto. I Fridays for the future e tutto ciò che vi gira intorno sono fenomeni legati in gran parte alla percezione creatasi intorno alla questione ambientale e climatica, tuttavia slegati in maniera o inconsapevole o miope alla questione energetica.

Diamo qualche punto di riferimento per capire di cosa stiamo parlando: la questione climatica ha come principale argomento l’aumento della temperatura sulla terra, che è un dato oggettivo in quanto prodotto di numerose rilevazioni scientifiche. Tuttavia, la percezione che noi abbiamo grazie alla sovraesposizione mediatica è che la temperatura sia aumentata e stia continuando ad aumentare di parecchi gradi. In realtà sappiamo che dall’anno in cui sono state cominciate a registrare le temperature in maniera scientifica ed oggettiva, ossia dal 1880, 140 anni fa, la temperatura sulla terra si è alzata di 0.9 gradi. A questo fatto va aggiunto che attorno alla metà dell’800 è finito un periodo definito piccola età glaciale, iniziata nella metà del 1400; va da sé, come il nome ci suggerisce in maniera non troppo velata, che durante questi secoli la terra abbia vissuto un periodo di raffreddamento, specialmente per quello che riguarda l’emisfero nord: abbiamo testimonianze di ghiacciate che abbiano consentito di camminare sul Tamigi, a Londra. E che, di conseguenza, tornando a noi, dalla fine del periodo glaciale, le temperature siano andate man mano innalzandosi.

Ora, è da questo fatto che scaturiscono due correnti di pensiero per quanto riguarda il riscaldamento globale: gli scettici ed i catastrofisti, che hanno due punti di vista diametralmente opposti sulle cause del riscaldamento globale, e fino a pochi anni fa la discussione era relegata prevalentemente al mondo anglosassone. Fulcro della discussione è il perché di questo aumento, non il quanto. Il ruolo del mondo dell’informazione – e delle lobbies – intorno all’argomento ha portato alla polarizzazione delle posizioni e alla formazione di questi due opposti schieramenti.

Per quanto riguarda gli scettici, è da riportare sicuramente la posizione del prof. Zichichi, di cui è uscita qualche mese fa un’intervista per Il Primato Nazionale, il quale sostiene che i modelli oggi in voga sulla previsione del cambiamento climatico siano imprevedibili, in quanto il clima è un fenomeno che ha così tanti fattori mutabili che non può essere assolutamente previsto con un modello matematico. Di conseguenza, ritiene che le cause del riscaldamento globale sia legate ad attività esterne alla terra, come quella solare, e comunque non a causa dell’uomo. A livello globale, tuttavia, la credibilità della componente scettica, in alcuni casi, è stata messa in forte discussione a seguito della scoperta che alcuni esponenti o sostenitori del non-riscaldamento globale siano stati consulenti di società petrolifere quali la Exxon, la Shell la Texaco ecc.

Di contro, la componente catastrofista attribuisce in toto la responsabilità del mutamento climatico all’uomo, vedendo nella troppa CO2 e nell’immissioni di gas climalteranti le cause del riscaldamento globale. Strumento in uso dai catastrofisti sono i rapporti dell’IPCC, l’Intergovernamental Panel on Climate Change, vale a dire un gruppo di scienziati che non fa monitoraggio ambientale o climatico ma studia le pubblicazioni scientifiche, prodotti di ricerca e fa dei report con cadenza più o meno quinquennale. Quest’ultimo report del 2014 ha messo in evidenza come la maggioranza degli scienziati ritengano che l’uomo probabilmente sia causa del riscaldamento globale.

Ora, è giusto porre attenzione al linguaggio scientifico e come questo sia diverso dal linguaggio divulgativo. Il linguaggio scientifico è molto più attento, usa termini come è probabile, è possibile, è altamente probabile, sa essere, in poche parole, molto vago. Il linguaggio divulgativo questa vaghezza la trasforma in verità assoluta dando appunto vita a queste contrapposizioni che noi ci troviamo a dover affrontare dando vita a schieramenti come fosse quasi una partita di calcio. Nel 2007 l’IPCC insieme ad Al Gore, noto catastrofista, hanno vinto il Nobel per la pace per gli studi sul clima e la loro divulgazione. Senza entrare nel merito del Nobel per la pace e del suo valore prettamente politico, vale la pena spendere due parole su Al Gore: vicepresidente degli Usa sotto la presidenza Clinton, ha prodotto un film sui cambiamenti climatici chiamato Una scomoda verità, di cui è uscito anche un sequel nel 2017, che è stato condannato da una corte inglese per essere pieno di errori, approssimazioni, affermazioni riguardo fatti non dimostrabili, e soprattutto perché era un film politico e non scientifico, fatto per dare tutte le colpe a Bush (che, per inciso, lo aveva battuto alle elezioni presidenziali del 2001).

Altro fatto da considerare è uno scandalo legato al furto di mail che ha visto protagonisti alcuni ricercatori per l‘IPCC, noto come Climategate: all’interno di alcune mail, gli scienziati si dichiaravano in difficoltà in quanto non sapevano spiegare dei dati sul clima e che per spiegarli avrebbero dovuto usare qualche trucchetto per portare la ragione dalla loro parte.

Questa necessità di dimostrare una situazione, anche forzando un po’ la mano, è legata al fatto che la maggior parte della ricerca si basa su finanziamenti pubblici, che vengono elargiti solo se si dimostra che vi sia una reale emergenza o un reale pericolo da risolvere. Di conseguenza, se io, ad esempio, riesco a creare un problema, a porre l’attenzione su di esso, e a non trovare una soluzione immediata, è verosimile che mi sia assicurato il finanziamento per le ricerche successive. Anche nel caso catastrofista, come si è visto la situazione non è proprio limpida.

Alla luce di ciò, da un punto di vista pratico, la discussione fra scettici e catastrofisti a noi serve? A che pro noi ci dovremmo rispecchiare in questo o quello schieramento? Mio parere personale è che a noi non serva prendere parte in questa dicotomia, perché semplicemente c’è una discussione non tanto scientifica, in quanto in entrambe le parti gli esponenti sono toccati da lati più o meno oscuri; inoltre, vi sono da distinguere due piani differenti, uno scientifico ed uno prettamente mediatico, sui metodi di risoluzione e di individuazione delle responsabilità per la questione climatica: nella componente scettica, specie nel mondo angloamericano, fanno pare consulenti delle società di petrolio, i quali possono sostenere l’utilità del petrolio in quanto necessario sia ai loro interessi personali che agli asset strategici della nazione di appartenenza, sostenendo dunque di proseguire con l’estrazione e il consumo di petrolio; la componente catastrofista sostiene invece che il clima va tutelato, avanzando proposte diverse, dalla decrescita controllata alla tassazione sull’inquinamento.

L’unica cosa che io penso effettivamente serva è quindi che noi dobbiamo conoscere necessariamente questi due schieramenti ma dobbiamo scegliere la cosa che c’è più nelle corde, vale a dire una terza via: è necessaria assolutamente una rivoluzione rinnovabile che porti il mondo verso l’utilizzo di fonti provenienti non da fossili, cosa che per quanto riguarda il caso italiano comporterebbe una re-industrializzazione green che abbia come obbiettivo quello di rendere autosufficiente il nostro Paese dal punto di vista energetico e che consenta, anche, di produrre noi i beni ad ampio valore aggiunto necessari per l’autonomia energetica, quali pannelli solari, pale eoliche, turbine, inverter e sistemi di accumulo e quant’altro.

Quello che noi dobbiamo fare è imboccare questa terza via, affiancandola ad un’ecologia identitaria che veda comunque l’Italia come protagonista, e che sappia distaccarsi sia dalle fonti fossili sia dall’acquisto dall’estero di energia.