Di Saturno

Il primo ministro israeliano Menchem Begin, ed il ministro della difesa Ariel Sharon, avevano il progetto di riformare l’assetto geopolitico mediorientale. Essi volevano cacciare l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che aveva sede in LIbano) e la Siria (coinvolta nella guerra civile libanese scoppiata nel ‘75) dal Libano, annettere la Cisgiordania e cacciarvi tutti gli arabi che vi abitavano. Per raggiungere questi obiettivi, Israele stava da tempo coltivando stretti rapporti con i maroniti (arabi cattolici del Libano) e con il loro Partito Falangista. Tale partito aveva una vera e propria milizia che veniva addestrata in Israele, nazione che la ha armata con più di 100 milioni di dollari in armi e uniformi. Begin riteneva che una volta cacciati OLP e Siria dal Libano ed eletto presidente Bashir Gemayel (figlio del fondatore del Partito Falangista) in Libano, nessuno si sarebbe potuto concretamente opporre all’annessione formale israeliana della Cisgiordania (già occupata dagli israeliani nel ‘67) che Israele chiamava già con i nomi (biblici) di Giudea e Samaria. Il governo israeliano non voleva farsi carico della popolazione araba (palestinese) che vi abitava, Sharon aveva quindi pensato come soluzione di adottare la strategia del divide et impera fra gli arabi, prima espellendo tutti i palestinesi dalla Cisgiordania per poi incoraggiarli a prendere il controllo della Giordania (nazione la cui popolazione era già al 60% palestinese) cacciando re Hussein. Tale progetto si sarebbe potuto perseguire solo con la forza e per via militare.

Il 3 giugno 1982, il gruppo terroristico Fatḥ al-Majlis al-Thawrī di Abu Nidal tenta di assassinare l’ambasciatore israeliano nel Regno Unito Shlomo Argov fuori da un albergo. Quello di Abu Nidal era un gruppo rinnegato che si opponeva con violenza a Yasser Arafat e alla sua di organizzazione (l’OLP) e nonostante l’OLP aveva rispettato la tregua di un anno stipulata con Israele, il governo israeliano usò quell’attentato come casus belli per muovere guerra all’OLP che operava in Libano invadendo il Paese.

Il giorno dopo l’attentato aviazione e marina israeliana iniziarono un pesante bombardamento sul sud del Libano e su Beirut (la capitale) ovest. Il 6 giugno l’esercito israeliano varcò il confine dando il via ad una campagna denominata “operazione Pace in Galilea”. Secondo le Nazioni Unite, nelle 10 settimane seguenti furono uccisi 17 mila arabi e feriti 30 mila, la maggior parte dei quali civili.

Gli israeliani arrivarono ad assediare Beirut, ed Arafat (leader dell’OLP che Israele voleva morto), fu costretto a cambiare luogo di residenza quotidianamente per evitare di essere assassinato; gli edifici nei quali era segnalata la sua presenza venivano sistematicamente ed immediatamente bombardati dagli aerei israeliani. Lina Mikdadi, che in passato aveva collaborato con Arafat, aveva assistito alla distruzione di un condominio che Arafat aveva lasciato da pochi minuti, “notai lo spazio vuoto dove poco prima c’era l’edificio dietro ai giardini pubblici […] sono corsa sul posto. Un palazzo di otto piani era scomparso. La gente impazzita correva da tutte le parti, donne gridavano il nome dei figli”. La distruzione di quell’edificio causò la morte di 250 civili. Arafat sconvolto commentò “quale delitto avevano commesso questi bambini sotterrati dalle macerie? La loro unica colpa è quella di abitare in un edificio che io ho visitato un paio di volte”, da quel giorno Arafat dormì sempre in auto e lontano da zone abitate. Il massimo della violenza si raggiunse il 12 agosto, quando gli israeliani bombardarono per 11 ore di fila la parte ovest della città, scaricandovi migliaia di tonnellate di bombe; 800 edifici furono distrutti e i morti furono 500.

Sotto le pressioni delle Nazioni Unite e degli USA, gli israeliani trattarono una tregua con i palestinesi; i combattenti dell’OLP si sarebbero dovuti ritirare dal Libano via mare e una forza multinazionale neutrale composta da italiani, francesi ed americani avrebbero dovuto garantire la tregua. I libanesi si trovarono tra l’incudine e il martello di un conflitto fra palestinesi ed israeliani, perciò molti erano i libanesi che vedevano male i palestinesi, considerati causa di conflitti con Israele, ma c’erano anche molti libanesi che li supportavano.

Lina Mikdadi (palestinese per parte materna), andò al punto di raccolta per salutare gli uomini dell’OLP che se ne andavano e scoprì che molti cittadini di Beirut fecero lo stesso, “le donne si sporgevano dalle finestre ormai senza vetri per gettare riso e salutavano dai balconi semidistrutti. Molti piangono guardando i camion partire. I combattenti palestinesi avevano già salutato le mogli, i genitori e i figli allo stadio municipale”. I combattenti dell’OLP erano diretti verso diversi stati arabi: Yemen, Iraq, Algeria, Sudan e Tunisia (dove si sarebbe stabilito il nuovo quartier generale). Arafat fu l’ultimo a partire ed il 30 agosto cessò l’assedio della città.

I combattenti palestinesi si ritirarono lasciandosi indietro le loro famiglie, mogli e figli; uno dei compiti delle forze internazionali neutrali era quello di garantire la loro sicurezza in un paese a loro ostile. Esse sarebbero dovute restare per 30 giorni, ma si ritirarono con 10 giorni di anticipo, da quel momento non rimase più nessuno a proteggere i campi profughi dei palestinesi dai loro numerosi nemici, cosa che, come vedremo in un prossimo articolo, avrà gravissime conseguenze e porterà ad una delle peggiori tragedie nella storia contemporanea.