Di Filippo

Viva l’Italia!

Queste furono le ultime parole pronunciate dal patriota italiano Nazario Sauro sul patibolo poco prima di essere impiccato a Pola il 10 Agosto 1916, esattamente centoquattro anni fa.

Nazario Sauro nacque a Capodistria da una famiglia di origini romane, in una terra che all’epoca faceva parte dell’Impero austro-ungarico. La madre Anna lo educò al culto dell’Italia come patria spirituale, che trovò naturale espressione nell’adolescenza in una adesione completa al pensiero mazziniano che invocava l’indipendenza dei popoli; Sauro, come molti ragazzi figli delle terre irredente, mal sopportava il giogo di un Impero che non riconosceva come Patria.

Dal padre Giacomo, che era un marittimo, ereditò la sua passione più grande: quella per il mare. Il padre inizialmente lo indirizzò verso gli studi ginnasiali ma, dati gli scarsi risultati motivati dal carattere ribelle del giovane Nazario, decise di portarlo con sé sulle navi; in breve tempo e ancora in giovane età divenne comandante di una piccola imbarcazione con la quale esplorò le coste adriatiche.

La passione per le navi contraddistinse anche il suo percorso militare poiché, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Nazario Sauro decise di trasferirsi a Venezia, disertando così la chiamata alle armi dell’Impero austro-ungarico, per poi arruolarsi come volontario nella Regia Marina il 23 maggio 1915 con il grado di tenente di vascello. In 14 mesi di servizio compì più di sessanta missioni pilotando sommergibili, MAS e altri navigli leggeri nelle insenature del litorale giuliano, realizzando in particolare un raid nel Golfo di Trieste ed un’azione nel porticciolo di Parenzo in Istria, ove distrusse a cannonate gli hangar che ospitavano gli idrovolanti che periodicamente bombardavano Venezia. Fu precursore dei tempi, proponendo azioni di incursione e sabotaggio in territorio dalmata e giuliano del tutto simili a quelle dei moderni Incursori della Marina e si distinse anche per azioni di supporto come trasportare clandestinamente passaporti falsi a Trieste o raccogliere informazioni militari sull’Austria, solo o in compagnia del figlio dodicenne Nino.

L’aiuto di Sauro alla causa italiana non si limitò solamente a questo, ma anche allo sviluppo di progetti tecnico-militari. Ideò e progettò, per uso bellico, una boa-vedetta-sommergibile di dimensioni tali da poter ospitare due persone per parecchi giorni; da lui stesso utilizzata, venne adibita all’osservazione e alla segnalazione dei movimenti della flotta nemica davanti al porto di Pola. La boa, di forma ovoidale, aveva tutte le caratteristiche di un moderno sommergibile: congegni che permettevano l’immersione e l’emersione e la presenza di un periscopio. Per mezzo di un’ancora e una catena, la boa avrebbe mantenuto una posizione fissa e stabilita, facilitando il suo ritrovamento e il rimorchiaggio alla base allo scadere della missione.

Fatale si sarebbe rivelata la missione a bordo del sottomarino Giacinto Pullino, che nella notte tra il 30 e il 31 Luglio 1916, nel tentativo di entrare nel Carnaro, si incagliò nei pressi del faro dello scoglio della Galiola. Temendo di essere fatto prigioniero dagli austriaci e consapevole del tenore delle accuse che avrebbe dovuto affrontare, abbandonò i suoi compagni e cercò di guadagnare la costa italiana a bordo di una piccola scialuppa con il favore delle correnti. Venne ugualmente catturato e processato come disertore e il 10 Agosto condannato all’impiccagione per mano del boia Lang, che aveva già giustiziato Cesare Battisti. Nazario Sauro, non temendo la morte, con serenità e orgoglio si avviò fischiettando al patibolo e pronunciò le parole: “Viva l’Italia” davanti ai giudici e ai carcerieri. Di fronte al boia che voleva levargli il berretto di tenente di vascello della Regia Marina italiana, Nazario Sauro si oppose con veemenza dicendo che fosse un onore indossarlo anche nell’ora più tragica, per cui Lang dovette allargare il cappio in modo che vi passasse anche il berretto.

La salma di Sauro fu occultata e sepolta in zona sconsacrata all’interno del cimitero militare e solo a guerra finita, il 19 gennaio 1919, venne esumata per poi essere inumata con tutti gli onori nel sacrario di Pola il 26 maggio.

Nazario Sauro, che fu anche insignito della Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria, educò i suoi figli – come lo era stato lui – all’amor patrio, che troviamo pienamente espresso nelle lettere che scrisse alla moglie e al figlio Nino nel malaugurato caso in cui la morte lo avesse colto in battaglia.

«Caro Nino,

tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d’italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l’ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l’età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà.

Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! E porta il mio saluto a mio padre».

E alla adorata moglie:

«Cara Nina,

non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte sulle labbra; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada, che li farà proseguire su quella di suo padre: ma non mi resta a dir altro, che io muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere d’italiano. Siate pur felici, che la mia felicità è soltanto quella che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo. Nazario».

Come quel 10 agosto di centroquattro anni fa, il grido di Sauro deve più che mai essere raccolto e gridato in faccia ai nemici che oggi stanno distruggendo la nostra Nazione, con identico coraggio e orgoglio.