Di Andrea

Così viene chiamato Aljaksandr Lukashenko, presidente della Repubblica di Bielorussia (in carica dal 1994), il quale si appresta ad esercitare il suo sesto mandato dopo aver vinto con circa l’80% di preferenze, acquisite durante le ultime elezioni presidenziali svoltesi lo scorso 9 agosto. La sua rielezione ha incentivato l’aumento delle numerose proteste di piazza iniziate già dalla fine del mese di maggio. Le mobilitazioni da parte dell’opposizione sono scaturite in diversi scontri con le forze governative, causando morti e feriti oltre i numerosi fermi.

I manifestanti chiedono maggiori libertà, la liberazione degli oppositori politici e in generale l’inizio di un processo di democratizzazione del paese. In questo momento le proteste sono guidate da Svetlana Tikhanovskaya, moglie di uno dei principali oppositori del presidente Lukashenko – arrestato lo scorso 29 maggio – la quale si è fatta portatrice di un programma politico progressista, con l’avvio di un radicale processo di liberalizzazione economica, un’apertura agli investitori stranieri nei settori dell’economia bielorussa e ad una vsta opera di privatizzazioni di stampo neoliberiste. Inoltre, l’opposizione spinge chiaramente per uno spostamento dell’asse delle alleanze verso Nazioni come gli Stati Uniti o il Regno Unito e verso entità sovranazionali come l’UE o la NATO, baluardi di una politica progressista e neoliberal che non ha nulla a che fare con il benessere dei popoli e delle Nazioni, ma anzi all’asservimento delle stesse a logiche di mercato.

Questo è un copione a cui siamo abituati: le principali forze democratiche e liberali denunciano un governo forte e non allineato, il quale secondo il loro giudizio non avrebbe il diritto di esercitare potere perché illiberale, violento e dittatoriale. Tuttavia, analizzando in modo approfondito la situazione bielorussa, si possono osservare i molti risultati che la politica fortemente statalista, con alcuni echi di socialismo nazionale, portata avanti da Lukashenko, ha avuto nell’interesse nazionale collettivo: un sistema sanitario efficiente, con una mortalità infantile inferiore ad esempio agli Stati Uniti; un’economia sviluppata per un Paese così piccolo e in continua crescita grazie ad opere massicce di industrializzazione; una distribuzione della ricchezza più omogenea rispetto ad altre zone dell’Europa orientale e dei Paesi confinanti.

Nonostante l’indipendenza dall’URSS, dichiarata nel 1990, il Paese è sempre rimasto nell’orbita dell’influenza russa, ed è comprensibile la volontà di alcune parti della popolazione di opporsi alle ingerenze degli storici dominatori, ma la crociata che è ormai in atto fa tornare alla mente quelle rivoluzioni colorate di cui tanto si è discusso.

La soluzione per il popolo bielorusso non si trova di certo in politiche filo-americane, progressiste e neoliberiste. In queste situazioni occorre rimanere lucidi, evitando sciocche tifoserie e ricordando che ogni popolo è libero di forgiare il proprio destino, a patto che sia svincolato da influenze esterne e senza aggrapparsi ai liberatori di turno.