Di Bianca

Intendiamo tutti la scienza come una delle discipline d’eccellenza nate dalla genialità dell’uomo, partendo nella sua evoluzione millenaria come un principio sempre applicabile a quesiti, incognite e ostacoli, sviluppandosi poi nei secoli in diverse branche; e i suoi successi nella storia si sono rivelati decisivi se non epocali.

Allora perché attualmente imperversa un accanito dibattito sulla legittimità della scienza? Come si è arrivati a prendere le distanze dall’applicazione più diretta e concreta delle conoscenze dell’uomo, che più volte risultò determinante nel nostro divenire storico?

Innanzitutto è necessario riconoscere una distinzione fondamentale fra la scienza tradizionale e la “nuova” scienza. Apparentemente, sembra un controsenso: si sa che la scienza è in continua evoluzione e che ammette a priori l’inesistenza di una constatazione ultima della realtà. Ogni legge che viene dimostrata si fonda su quelle precedenti, è vero, ma un postulato accertato rimane tale finché una legge successiva non risulta più conclusiva o corretta, o addirittura individua un altro principio come IL principio. La scienza può di conseguenza apparire in una perpetua condizione di fragilità, ma è proprio questo principio di successione dei suoi enunciati che ne riconosce la veridicità.

Precisato questo, la differenza sostanziale fra la scienza del “prima” e la scienza “dell’oggi” non risiede tanto nella distanza dei metodi scientifici applicati (in quanto quelli odierni rispondono logicamente al colossale boom del progresso tecnologico), ma propriamente nei loro intenti. In passato, la scienza si poneva come strumento nelle mani dell’uomo per avvicinarsi alla natura, studiarla, comprenderla, al fine di dare alla realtà un ordine sì ideologico, ma anche in grado di assicurare riscontri concreti in essa. Un ordine quindi che non fosse più metafisico di quanto fosse razionale, bensì il riassunto di queste due prospettive del reale. L’uomo attraverso la scienza si riconosceva infine come parte integrante della natura e della disposizione esistenziale delle cose, e ideologicamente guardava a un orizzonte dell’essere dove realizzarsi rispettando ambedue le dimensioni: quella naturale e quella spirituale.

Attualmente accade l’opposto: l’uomo non fa uso, ma sfrutta la scienza per allontanarsi dalla natura e per sradicare i connotati che essa gli ha attribuito, sfidandola, negandola, e arrivando quindi a sfidare e a negare la scienza stessa; diventandone, paradossalmente, schiavo. La scienza, allontanata dal suo ruolo di mezzo di comprensione della realtà, è inespressa e ridotta a un mero concetto astratto e a sé stante; oppure viene stravolta, diventando l’imposizione davanti alla quale non è concesso opporsi. Lo strumento che prima era sì più elitario, ma al servizio di tutti, diventa lo strapotere dei pochi sulla massa da controllare quando non da intrattenere.

Un semplice esempio del primo caso è la dialettica monotona e univoca dell’amore, dell’accoglienza e della comprensione del diverso, che in realtà mira esclusivamente alla coscienza dell’individuo e che a quest’ultima riduce la sfera della giustizia. Perché essendo la scienza (quindi il razionale e l’oggettivo) insensibile, fredda, brutta e cattiva, non deve essere messa in mezzo a discorsi di diritti umani e sentimenti di apertura vari, che invece devono essere giudicati dai veri professionisti del campo.

Questo significa che non posso dire che il genere è inscritto nei cromosomi, perché altrimenti chi ha sborsato per un’operazione per eliminare (oppure ottenere) una presenza fra le gambe si sentirebbe discriminato; e si sentirebbe irrimediabilmente offeso anche chi, a prescindere da quella presenza, quel giorno si alza uomo, perché il giorno prima era una via di mezzo. Stessa storia con le mestruazioni. Non posso dire che lo scopo biologico della donna sarebbe avere figli per la sua maggiore percentuale di grasso essenziale rispetto all’uomo, per sostenere una gravidanza; altrimenti la riduco a una macchina che sforna poppanti che, nati con questa logica, non diventeranno che bigotti retrogradi che sosterranno la stessa teoria. Non posso dire che le proteine contenute nella carne non sono esattamente assimilabili a quelle presenti nei legumi, o rischio di passare per un bruto carnivoro che pretende l’estinzione di ogni specie animale commestibile sul pianeta. Non posso dire che esistono differenze genetiche e fisiche fra un europeo e un asiatico che potrebbero andare ben oltre il concetto di etnia, perché altrimenti sono un razzista xenofobo che trema davanti a un involtino primavera… e via discorrendo.

Niente di troppo diverso dal modus operandi dell’oscurantismo religioso dei secoli scorsi, che a fronte delle scoperte scientifiche dei secoli XVI e XVII ha ben riorganizzato le sue schiere per far fronte all’imminente minaccia contro Dio e la Santa Fede. Ne sa qualcosa l’ereticissimo Galileo Galilei, che di certo non ha bisogno di presentazioni, essendo stato una delle menti più geniali della storia. Questo precisamente quando, nel 1633, fu costretto all’abiura per le sue tesi eliocentriche. Una condanna al silenzio che, in tempi più recenti, va anche contro alla scienza di un paio di decenni del secolo scorso…

Di fatto, alla scienza non è permesso essere… scientifica. È la massa, con un approccio parziale e impreparato, a decidere cosa è legittimo e cosa no, nel senso che alla massa spetta il giudizio al quale la scienza si deve inesorabilmente sottoporre. È lo sconvolgimento della scienza, che da umana diventa “umanitaria”: lo scienziato o il ricercatore finiscono per essere potenziali veicoli di verità scomode, di cui la scienza è conferma tangibile, e da questo deriva la sua “pericolosità”. E trovare voci fuori dal coro sta diventando, come ben sappiamo, sempre più difficile. Ora vediamo eccellenti studiosi sudare freddo di fronte a una loro pubblicazione sulle razze umane, per tema di un possibile linciaggio mediatico per aver osato trattare uno dei temi proibiti.

Ma, come già anticipato, se da un lato la scienza viene demonizzata, dall’altro viene eccessivamente valorizzata, e l’impiego assoluto delle sue potenzialità non fa che sopprimere quelle dell’uomo, e si ritorna sull’ipocrisia della scienza umanitaria. Questo il risultato del costante processo di tecnicizzazione della società, al quale tutti stiamo assistendo e sempre più velocemente; e questa la divergenza fra progresso e progressismo, che ha trovato le sue primissime radici nelle correnti filosofiche schiave dell’utile quali il positivismo e l’utilitarismo.

Eccoci dunque alla compravendita dei feti con l’utero in affitto; allo scambio economico di bambini in provetta; alle sopracitate operazioni per liberare varie anime tormentate e intrappolate in vari corpi loro estranei; al ricorso all’aborto come se fosse aspirina per un raffreddore; alla possibilità di accedere a schemi genetici che permettono di scegliere ai futuri neogenitori il colore degli occhi o della pelle del figlio, ridotto all’avatar anonimo del gioco della riproduzione artificiale… una prospettiva inquietante che ricorda il film Gattaca (per chi non l’avesse ancora visto, si consiglia di rimediare).

In quest’ottica, se la scienza non funge da giustificazione per un governo che è stato del tutto incapace di proteggere la Nazione, deve sottoporsi alle richieste delle povere minoranze inascoltate, spacciando necessità di vario genere come fondamentali e di urgente bisogno, quando in realtà sono parte integrante di un divenire che mai più di adesso è lontano dall’essere umano. Tutto ciò che è possibile a livello tecnico e genetico allora deve essere forzatamente accettabile, per non passare come un limite inesistente, il simbolo di un passato bigotto e da superare che non ha più nulla da offrire. Ecco come la ragione sfocia nella follia più delirante, mascherata come il futuro al quale ci si deve inchinare solo perché tale.

Si deve dunque guardare alla scienza come uno dei tanti baluardi dell’uomo inevitabilmente corrotti da un sistema infetto? Assolutamente no. Ad esempio l’ingegneria genetica, cioè l’insieme delle pratiche che permettono di includere in un organismo caratteristiche genetiche appartenenti a un’altra specie, anche se incompatibile, ha permesso di sviluppare solide basi per un’efficace cura del tumore al seno, se il cancro non si trova a uno stadio troppo avanzato. Si badi bene: non una terapia, bensì una cura definitiva della malattia, e a partire da cellule appartenenti a topi. O ancora, per il biorisanamento delle acque inquinate, è stato possibile modificare geneticamente dei batteri in grado di assorbire i metalli dai liquidi agendo come biofiltri.

In conclusione, non si deve condannare o assolvere a priori la scienza: questo deve dipendere dal contesto e dalla modalità con cui essa agisce. Il fatto che da una parte stia lavorando sulla cura del cancro (anche con promettenti risultati) e che dall’altra stia semplificando e velocizzando la riproduzione artificiale è certamente assurdo, ma è a partire da questo opposto che occorre riprendersi (anche) la scienza, perché non sia a servizio dell’uomo, né che l’uomo sia a servizio dalla scienza, ma che quest’ultima sia utile per l’uomo. Serve ristabilire quell’orizzonte ideologico a cui si accennava in precedenza, perché tutti gli strumenti sono già a disposizione: bisogna solo riconquistarli e applicarli.