Di Luca

La lingua è un’aspetto centrale nelle nostre vite e senza non riusciremmo a comunicare in maniera così articolata con altri individui, il che renderebbe la nostra esistenza quasi impossibile.

Nei secoli si sono sviluppati moltissimi modi di comunicare che riflettevano le caratteristiche di ciascun popolo, oggi sono riconosciute fra le 6000 e le 7000 lingue diverse.

La lingua è perciò una dei principali tratti dell’identità di un popolo ed anche uno dei suoi principali collanti poiché la possibilità di comunicare senza alcuna difficoltà per di più con spiriti affini traccia il più netto dei legami, anche in terra straniera.

Quando ci si trova all’estero infatti la difficoltà nel comunicare a volte ci perseguita tanto che quando si sente un certo accento ed il vociare familiare di un connazionale ci si fionda ad intavolare una piacevole conversazione.

Parlando nello specifico dell’Italiano, la sua storia è emblematica in quanto al rapporto tra lingua e identità.

La letteratura italiana è la prima ad acquistare una coscienza dei propri caratteri e della propria attività linguistica con il De vulgari eloquentia di Dante ultimato nel 1305.

È proprio Dante che parlando di “volgare illustre” va alla ricerca di un qualcosa che aleggia su tutti i dialetti italiani egli infatti non si limita a teorizzare o a palesare le potenzialità di una lingua comune a tutti gli italici ma ne crea una, non dal nulla, bensì la trae direttamente dall’anima del popolo.

Per capire la portata di questa immensa operazione, basti pensare che la bellezza di settecento anni dopo l’italiano ha ancora in gran parte la stessa grammatica e usa ancora lo stesso lessicale fiorentino letterario del Trecento.” – Scrive Adriano Scianca nel suo libro “La Nazione Fatidica”.

È questo che permette ad un italiano medio di leggere e capire, con solo qualche precisazione di ordine grammaticale e lessicale, un testo come La Divina Commedia.

L’Italiano non è una costruzione sociale o una banale lingua imposta, rappresenta bensì una sfida millenaria di autodeterminazione, nonostante le mille avversità, per la affermazione del nostro popolo e dell’italianità.

L’uso sempre frequente dei dialetti (non che debbano sparire, sia chiaro), anche a seguito del risorgimento, è stata una delle conseguenze del ristagno plurisecolare della vita economica, sociale ed intellettuale della penisola.

Edmondo De amicis, in un saggio dedicato alla lingua italiana la descrive come:

Un eredità sacra di milioni d’esseri del nostro sangue, dei quali essa per secoli espresse il pensiero; la nostra nutrice intellettuale, il respiro della mente, e dell’animo nostro, l’espressione di quanto è più intimamente proprio della nostra indole nazionale, l’immagine più viva e fedele e quasi la natura medesima della nostra razza.

In un periodo di assedio al baluardo di ogni identità è allora scontato che venga puntato il fucile contro le lingue; a partire dalle campagne “boldriniane” e dei vari collettivi antifascisti (quelle che suscitano in te un sentimento di tristezza misto a pena quando vedi uno striscione con più asterischi che vocali) per eliminare il genere nelle parole e snaturalizzare l’italiano in una lingua più inclusiva e “mite”.

Al contrario dell’inglese (al quale Orwell si ispirò per creare la Neolingua in “1984”) dove una parola può essere utilizzata per identificare molte più cose l’italiano è una lingua molto pericolosa poiché troviamo molte parole differenti per definire un singolo concetto e ciascuna con una connotazione differente che per alcuni non deve poter essere data a certe cose come nel caso dell’immigrazione.

Anche i tentativi di abbattere le “frontiere linguistiche” creando lingue comuni a più popoli non sono mancati.

È il caso dell’Esperanto, lingua inventata dall’ebreo polacco Ludwik Lejzer Zamenhof, che doveva trasformarsi nella lingua internazionale per eccellenza, era studiata in oltre 120 paesi fra i quali anche l’Italia.

È quindi fondamentale per ogni giovane italiano studiare la propria lingua a fondo e leggere per arricchire il proprio vocabolario.

L’uso sapiente delle parole non è solo importante perché ci permette di commerciare, di spiegare al medico dove e che tipo di dolore percepiamo oppure (non che sia di poca importanza) per rimorchiare qualche bella ragazza.

La parola permette all’uomo di descrivere il mondo che lo circonda e come lui lo percepisce.

Ora, quest’uomo ha un sogno: ritiene che la realtà così com’è non sia giusta o comunque non sia abbastanza e deve essere cambiata e trasformata in qualcosa di superiore; saranno allora le sue parole che daranno vita ad una figurazione di questo sogno.

Con la parola un uomo è in grado di far vedere ad altri qualcosa che esiste solo dentro di lui.

Le parole sono quindi il principale veicolo delle idee e delle visioni del mondo.

Non basta però dar fiato alla bocca…se il messaggio da trasmettere è vuoto le parole, per quanto ben utilizzate, invece di appiccare incendi nei cuori e nelle menti si limiteranno ad accendere una blanda fiammella di candela che verrà spazzata via prima brezza.

Troppo spesso sentiamo i vari presentatori TV, giornalisti e volti della politica istituzionali intavolare discorsi pedanti, lunghissimi, pieni di nozioni e paroloni interpretabili (se mai aventi qualche contenuto) solamente da scienziati e ingegneri.

Tutto ciò per ostentare una qualche professionalità e competenza senza calcolare che così parlando riescono a colpire l’1% di chi li ascolta; dall’altra parte chi parla in questi termini è in grado di illudere le masse ispirando una certa fiducia e competenza ottenendo un consenso perché “Lui sa sicuramente il fatto suo!”. La coscienza politica che dovrebbe avere ogni individuo, diventa agli occhi dei più una cosa che non gli appartiene e da dover delegare a “tecnici” che hanno studiato.

Così facendo in poche parole delegano il loro destino al più convincente.

Contrastare questa realtà con ogni mezzo possibile vuol dire soprattutto saper comunicare qualcosa di differente, di vero e di puro al maggior numero di persone possibili.

Chiaramente conoscere una lingua e saper utilizzare le parole oltre a garantire la giusta interpretazione del messaggio da trasmettere può fare la differenza; sta a noi scegliere se stiamo parlando per sentirci dire “Hai ragione!” o per accendere un fuoco indomabile in un altro cuore.