Di Bianca
Uno dei tanti, troppi nomi messi ingiustamente da parte nella storia è sicuramente Nazareno Strampelli, una delle menti più brillanti vissute durante il Ventennio. Si distinse come uno dei primi genetisti italiani, e in particolare per i suoi studi rivoluzionari sul grano che tanto esito hanno avuto in seguito in una delle principali riforme portate avanti da Mussolini.
Strampelli nacque nel 1866 a Crispiero, presso Macerata. Si laureò come agronomo a Pisa nel 1891 con il massimo dei voti, per poi impegnarsi fino al 1899 nell’insegnamento delle Scienze Naturali e di Agraria. Fu in questo periodo che iniziò a delineare il suo progetto di ibridazione del grano, per produrne una nuova varietà più resistente alle due malattie che più di frequente colpivano la pianta: l’allettamento (il ripiegarsi delle spighe fino a schiacciarsi a terra per azione del vento e della pioggia) e le ruggini (causate dalla presenza dei funghi che attaccavano il frumento).
L’obbiettivo di Strampelli era di incrociare le due diverse varietà di grano resistenti rispettivamente alle due malattie perché portassero a una terza specie, indenne a entrambe. Strampelli non era ancora a conoscenza delle leggi genetiche di Mendel, e quindi ignorava i criteri scientifici della trasmissione dei caratteri genetici. Di fatto si può dire che i numerosi tentativi non portarono a nessun risultato. Strampelli però non si arrese e si trasferì a Rieti per portare avanti i suoi studi congiuntamente al suo impiego alla cattedra di Granicoltura, della quale riuscì a ottenere il titolo.
Durante il primo periodo della sua ricerca non ottenne il sostegno sperato, in quanto la Cassa di Risparmio locale non sostenne il progetto e non intervenne affinché avesse a disposizione le attrezzature necessarie per continuare la sperimentazione. Era l’inizio del Novecento: gli anni dei liberali, gli anni di Giolitti e gli anni in cui si pensò di fare dell’Italia la nuova e più grande potenza economica e industriale, perché non fosse abbandonata dalla corsa al progresso che stava accecando l’Europa e il mondo intero. L’abbondanza di riforme per potenziare la produzione industriale, specialmente in Nord Italia, non prometteva bene a Strampelli: a nessuno importava del suo grano, nonostante la questione dei latifondi secolari in Meridione era ancora calda e premeva dall’Unità d’Italia.
In questi primi anni del Novecento egli sviluppò comunque ben 134 ibridi diversi di grano, senza però ottenere la varietà che cercava. Fu allora che venne a conoscenza delle leggi di Mendel e decise di applicarle alle sue teorie, mettendo a punto un sistema specifico di ibridazione del grano che portasse al frumento al quale stava dedicando tanti anni di sacrifici.
Nemmeno questa volta l’incrocio riuscì, ma la “tecnica di Strampelli” sancì una vera e propria rivoluzione in Italia, che mise in discussione anche le teorie tradizionali di selezione delle sementi: infatti in precedenza ci si limitava a incrociare gli esemplari migliori della pianta limitandosi a una varietà sola. Strampelli sfidò anche la logica dietro alla produzione del grano: all’inizio del XX secolo, infatti, si pensava ad allungare il ciclo vegetativo del frumento perché accumulasse più sostanze nutritive. Al contrario, lui, era interessato ad abbreviare i tempi di maturazione bilanciando un maggiore rendimento dei chicchi. Si rivolse inoltre anche ai grani esteri, concludendo nel primo decennio del Novecento con 800 incroci e 65 diverse varietà di grano, alcune delle quali vennero riconosciute come “sementi elette”.
Una di queste è il grano “Carlotta”, che Strampelli dedicò alla moglie (che sarebbe scomparsa da lì a pochi anni), incrociando il grano francese “Massy” col “Rieti”. La sua peculiarità era la resistenza ai climi freddi, e di conseguenza pativa particolarmente la siccità; ma fu da questo grano che derivò nel 1913 il grano “Ardito”, il primo, vero successo dello studioso, che cambiò radicalmente la modalità di coltivazione del grano tenero non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo.
Ma la varietà finale e d’eccellenza nata dai suoi studi fu il grano “Cappelli” o “Senatore Cappelli”, brevettato definitivamente nel 1915, che Strampelli dedicò al senatore del Regno d’Italia Raffaele Cappelli, appassionato di agricoltura e fautore della riforma agraria di inizio Novecento. Era anche un particolare ringraziamento allo stesso Cappelli nell’avergli ceduto le sue proprietà terriere a Foggia per l’applicazione delle sue ricerche. Il frumento “Cappelli” si caratterizzava per la sua ampia adattabilità ai terreni: si trattava di un grano rustico, e la semola che conteneva era di un’ottima qualità. Il successo portò Strampelli a fondare, nel 1919 e sempre a Foggia, l’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, che in seguito ottenne il riconoscimento ufficiale di “ente morale autonomo” da parte del Ministero dell’Agricoltura fascista.
L’ascesa del fascismo vide anche quella della fama di Strampelli, tanto che a partire dal 1920 il Duce visitò ripetutamente i campi di sperimentazione dei suoi grani, includendoli nel suo progetto della “Battaglia del grano” allo scopo di rendere l’Italia autosufficiente nella produzione cerealicola. Il grano d’avanguardia dello studioso fu un contributo non solo affine alle politiche agricole del regime, ma anche un grande contributo storico: si trattava del primo successo della genetica in Italia, applicato in ambito tanto agricolo quanto alimentare, e questo grazie alle “sementi elette” che l’agronomo aveva prodotto dopo ricerche durate una vita intera. Nel 1923, in occasione dell’Esposizione di Agricoltura, Industria ed Arti applicate di Roma, Strampelli presentò al pubblico 35 di queste varietà. Già nei campi d’Europa e nel mondo (in particolare in Messico e in Argentina, in quest’ultima era stato invitato nel 1922) si seminava il grano del Senatore Cappelli.
Nonostante il grande esito dei suoi sforzi, si ritrovò ad affrontare ulteriori ostacoli, questa volta interni allo stesso Istituto fondato da lui pochi anni prima. Vari membri, infatti, continuarono a ribellarsi a introduzioni esterne di frumento nel “Rieti”, che era il più diffuso nella zona e la cui coltura si era ormai consolidata. Nel 1924 tentarono di abolire l’uso dei grani modificati per mantenere esclusivamente il reatino originario, tentando di potenziarne le qualità coi metodi precedenti agli innovativi studi di Strampelli, cioè senza incroci: l’esperimento fallì. Le proteste e i rifiuti si protrassero fino al 1931, nel pieno svolgimento della “Battaglia del grano”, tanto che lo stesso Mussolini inviò una nota di biasimo all’associazione per la scarsa produttività dei campi.
Il Duce riconosceva l’importanza economica, storica e produttiva della “rivoluzione Strampelli”, e, dopo varie richieste al famoso agronomo di rientrare tra i vertici dirigenziali della riforma del grano, Mussolini lo incluse nella lista che il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe sottoposto all’attenzione del Re per la nomina a Senatore del Regno. Incarico di cui in realtà egli cercò di liberarsi, scrivendo allo stesso Mussolini di tener conto anche delle sue qualità negative e di scegliere un altro che meglio di lui aveva le capacità e il tempo da dedicare alla carica; ma la decisione di Mussolini fu irremovibile, e nel 1929 Strampelli diventò ufficialmente senatore, senza mai però discutere delle questioni di governo del regime. Il suo isolamento politico non conobbe sviluppi nemmeno quando, nel 1933, si tennero grandi celebrazioni in suo onore organizzate dalla Federazione Nazionale dei Sindacati Fascisti dei Tecnici Agricoli, ma probabilmente proposte dallo stesso Mussolini.
Strampelli morì nel 1942, e la sua scomparsa fu molto sentita in Italia, dal momento che agì anche in ambito sociale: la Società Agricolo-Operaia di Mutuo Soccorso, da lui fondata nel 1891 nel suo paese natale, si impegnava nel sostenere le famiglie dei contadini e degli agricoltori. Inoltre, la brevità della maturazione del suo grano ne permise la raccolta in tempi che precedevano la stagione delle zanzare, un problema particolarmente sentito dai raccoglitori per via della massiccia presenza di quelle malariche. Il grano “Cappelli” da allora venne ampiamente consumato fino al 1975, quando si sostituì con varietà più moderne e ottenute con mutazioni genetiche tramite raggi X e gamma. La distribuzione diminuì drasticamente fino al 1991, dove poi il consumo riprese progressivamente. Ad oggi, sono passati più di cento anni e il grano “Senatore Cappelli” si conferma ancora come uno dei migliori al mondo, anche sotto il profilo dei valori nutrizionali.
Essendo vissuto durante il Ventennio, si è subito corsi al riapro per liberare Strampelli dal giogo dell’importante figura sociale e politica durante la dittatura “brutta e cattiva”. Si sottolineò come si iscrisse al Partito Nazionale Fascista nel 1925: data tardiva, stesso anno di tesseramento di Pirandello, per dire, e sappiamo benissimo che tutti gli iscritti al PNF nel 1925 lo fecero solo per Matteotti, perché non avevano scelta e avevano paura degli squadristi… quindi una prova evidente del disinteresse (macché: dell’odio nudo e crudo) che egli nutriva per Mussolini e il fascismo. Versione che viene sostenuta anche dalla poca partecipazione di Strampelli alla vita politica fascista, nonostante il suo illustre ruolo, che aveva inoltre tentato di rifiutare. C’è chi afferma l’inesistenza del decantato grano italiano, dal momento che ben si rivolgeva a prestiti stranieri, per non parlare dello stesso frumento “Senatore Cappelli”, in cui fra le tre varietà era presente anche l’Akakomugi, un grano rosso giapponese. Infine, qualcuno sostiene addirittura che a causa della nomina a senatore da parte di Mussolini, perse la possibilità di vincere il Nobel.
Ma, a voler guardare alla realtà e alla totalità dei fatti, Strampelli è stato un personaggio determinato, consapevole dell’importanza della sua causa eppure mai ambizioso. Durante la sua vita si distinse per la sua umiltà e per la sua semplicità: si rifiutò di sottoporre a brevetto il suo grano, nonostante fosse a conoscenza dei guadagni che ne sarebbero derivati. E mai gli interessarono grandi e celebrativi riconoscimenti del suo lavoro, tanto che si definì “un impiegato dello Stato” e sostenne di “lavorare per la famiglia e per la Patria”. Non si ha la certezza di una sua adesione sincera e di cuore al fascismo, è vero: ma è anche vero che i valori della Patria e della famiglia sono assolutamente condivisibili, tenendo anche conto che questo binomio fa rabbrividire i progressisti benpensanti, che non indugiano a definirli a loro volta fascisti. Sulla legittimità del grano italiano invece, se una delle tre varietà italiana non era, italiano fu lo studioso che la portò alla luce, italiana fu la sua determinazione ferrea, italiana fu la terra dove crebbe e italiano il sole sui campi: e tanto basta.
In ultimo, sembra che dei suoi studi, così come del personaggio stesso, interessi ben poco ai nostri “antifascisti battaglieri”, a meno che non si tratti di salvarlo da un passato “tenebroso”.
n ogni caso, che piaccia o no, Strampelli contribuì notevolmente alla causa fascista, l’unica che gli ha dato i mezzi di realizzazione del suo progetto: e al fascismo stesso ha dedicato il frutto dei suoi sforzi più grandi, dove altri hanno ritenuto non ve ne fosse bisogno.
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