Corneliu Zelea Codreanu

Noi ti piangiamo sempre,

ma tu dormi per sempre, camerata.

La luna piange tra i rami,

le notti restan deserte;

te ne sei andato per sempre

per non tornare più, camerata.

Solo il vento sospira ancora

il tuo canto dolce

sui fiori che acquietano

la tua tomba triste, camerata.

La morte, solo la morte Legionaria

è per noi la più cara di tutte le nozze:

per la santa Croce e per la Terra, camerata,

spezziamo le selve e dominiamo i monti.

Cenni storici sugli ultimi anni di Codreanu: Il 20 aprile 1938 il Capitano è in stato d’arresto. Il tribunale militare applica la pena di sei mesi di reclusione per vilipendio nei confronti di un consigliere. Già dal febbraio, in Romania, sono in corso sanguinose persecuzioni contro il movimento legionario, “reo”, di aver ottenuto 66 deputati alle elezioni del ’37 e divenendo così la terza forza politica del paese.

Il 7 maggio 1938 Codreanu viene incriminato per attività terroristica, tentativo d’insurrezione, spionaggio a favore delle potenze straniere. Il 27 maggio successivo, nel corso di un processo farsa viene condannato dallo stesso tribunale militare a dieci anni di lavori forzati. Nella notte tra il 29 e 30 novembre 1938 il Capitano e altri tredici legionari vengono tradotti dalla prigione al bosco di Baneasa.

Qui Codreanu e i legionari, fatti scendere dal camion vengono sorpresi alle spalle e strangolati da un plotone di quattordici gendarmi, per ordine del procuratore dell’alta corte di giustizia, colonnello Zeciu. Alle ore 09.00 del 30 novembre i cadaveri vengono portati alla prigione di Jilava e qui, sempre Zeciu, ordina in nome del Re di fucilare i cadaveri. Quindici giorni dopo la fossa comune che ospita i cadaveri dei legionari e del loro Capitano viene divelta e sui corpi versato il vetriolo (acido solforico). Nessuna giustizia arriverà dai tribunali per l’efferata esecuzione di un prigioniero politico. Nemmeno per le decine di legionari fucilati e strangolati durante la “caccia al legionario”, la sanguinosa repressione ordinata dal primo ministro Calinescu dal dicembre del ’38.

Saranno i legionari superstiti a farsi vendetta: il 21 settembre 1939, nove legionari giustiziano il primo ministro Calinescu, ma il suo successore Argetoianu inasprisce la repressione e mette in atto la più sanguinaria persecuzione contro il movimento legionario: i Legionari che hanno ucciso Calinescu si costituiscono ma vengono immediatamente fucilati, mentre in tutta la Romania, in pochi giorni, centinaia di Legionari vengono sterminati.

È solo nel settembre 1940 che l’abdicazione del Re Carol permette di catturare e imprigionare, proprio nella prigione di Jilava, tutti i sessantacinque responsabili dell’eccidio del bosco di Baneasa (tra cui proprio Zeciu). Il 27 novembre 1940, due anni dopo l’eccidio, si compie l’ultimo atto della vendetta legionaria: mentre le salme del Capitano e dei tredici legionari vengono dissepolte dalla fossa comune e trasferite alla chiesa di San Ilie Gorgani, i sessantacinque responsabili (rilasciate le deposizioni in cui confessano gli omicidi), vengono tutti fucilati.

Riportiamo qui le “Note al processo” (contenuto in “Diario dal carcere”, Edizioni di Ar, pp.44-45), vergate dalla mano di Codreanu tra il 27 e il 29 maggio 1938, mentre si trova in un’umida e fredda cella del carcere. Parole che si fanno rappresentative di tutti coloro che, in ogni tempo, hanno subito l’ingiustizia più grande per l’uomo d’onore: il tribunale “farsa” della verità.

Per tutto il tempo sono stato sottoposto a una vigilanza estremamente severa e davvero insolita. Davanti alla porta sono rimasti di guardia in permanenza due gendarmi e nella stanza con me un sottufficiale. Egualmente un sottufficiale è stato tutto il tempo vicino a me. I colloqui con i difensori per la preparazione della difesa – che sono sempre segreti – li abbiamo fatti di fronte a loro e a due agenti di polizia.

Per poter accostarsi a me gli avvocati, superato l’ingresso, passavano attraverso quattro cordoni di agenti che li sottoponevano a perquisizione corporale. Le sale piene di agenti che spiavano difensori, testimoni, ufficiali. Non appena due persone si mettevano a parlare, immediatamente arrivava vicino a loro un terzo: l’agente, la spia…

Un’atmosfera pesante, sospettosa fluttuava fra l’edificio del Consiglio e fuori. Ogni avvocato o testimone si attendeva, da un momento all’altro, di esser preso, arrestato, internato.

Sul banco della difesa sono stati arrestati avvocati che in quel momento erano equiparati a magistrati: gli avvocati colonnello Radulescu e Vlasto. Sono stati anche arrestati: Corneliu Georgescu, Stanicel e Popescu-Buzau. Gli avvocati delle provincie, che si erano iscritti telegraficamente, nella notte sono stati perquisiti in casa e diffidati che qualora avessero lasciato la città sarebbero stati arrestati e internati. Solo alla fine, con moltissime difficoltà, hanno potuto partecipare al processo. Quando sono iniziate le arringhe dei difensori, a loro non è stato più consentito di entrare; neanche gli stenografi sono stati più ammessi. I tavoli, questa volta, erano vuoti. All’infuori dei sette avvocati decisi a parlare, agli altri è stato vietato l’ingresso.

Mentre la requisitoria del procuratore, scritta da altri e soltanto letta da lui, è stata immediatamente pubblicata in edizione straordinaria, per ordine delle autorità e sotto la minaccia della sospensione dei giornali -, la parola della difesa è stata ascoltata dal Consiglio in una sala vuota e ha goduto solo di tre-quattro righe sulla stampa.

La difesa è stata superba: Horia Cosmovici, Rentzescu, Radovici, Lizeta Gheorghiu, Iacobescu, Ranetescu, Caracasc: tutta la mia ammirazione per voi, cari amici. E per tutti voi altri che non vi siete staccati da me, avete lavorato, avete corso, vi siete battuti, avete palpitato nell’attesa della giustizia.

Quando ebbi la parola per l’ultima volta dissi:

«Onorevole tribunale, nelle vostre mani avete non la mia vita, che offro con gioia, ma l’onore di tutta la giovinezza della Romania. Credo nella giustizia militare della mia Terra».

   Il tribunale aveva, dunque, da rispondere a tre quesiti:

I. Detenzione e pubblicazione di atti segreti nell’ambito degli articoli 190-191. Ora, si è dimostrato fino all’evidenza che quei sei ordini avevano carattere politico. Che erano semplici ordini di perseguitare, per mezzo della polizia, membri della mia organizzazione. Che non toccavano per nulla la «sicurezza dello Stato». Che eguali ordini erano stati letti in Parlamento e pubblicati sui giornali. Che uomini politici erano venuti in possesso di eguali ordini: Maniu ha dichiarato che in un solo anno ne ha avuti sedici e li ha pubblicati in un memoriale.

Infine, che gli articoli 190-191 si trovano sotto il titolo «Delitti contro la sicurezza esterna dello Stato»; che la parola «sicurezza dello Stato» dell’articolo 190 si riferisce alla «sicurezza esterna dello Stato»; che la pubblicazione di tali ordini non può essere compresa nel delitto di «tradimento».

II. Il tribunale aveva da rispondere a un secondo quesito: rapporti con una potenza straniera per ricevere aiuti e istruzioni al fine di provocare la rivoluzione sociale. Affermazione basata su di una lettera falsa che non mi apparteneva. Si scopre l’autore della lettera. Istruzioni e aiuti: accuse ingiuriose, mosse in mala fede, allo scopo di provocare la rivoluzione sociale (art.209).

III. Ora, ho dimostrato con dichiarazioni di principio, fatti, testimonianze che neppure ci è passato per la mente, mai, di provocare una guerra civile. Ma non soltanto ciò: neppure di organizzare la minima agitazione. Che c’è il pericolo dall’Est, che spia ogni nostro errore, ogni nostro passo. E tuttavia il tribunale, senza avere alcuna prova, ha risposto affermativamente a tutte le domande condannandomi a dieci anni di lavori forzati. Oh, che grande ingiustizia!

Riceva Iddio anche la mia sofferenza per il bene e la prosperità della nostra Patria.

Dolori su dolori, tormenti su tormenti, patimenti su patimenti, ferite su ferite nel corpo e nell’anima, tombe su tombe: così vinceremo!