OVVERO LA PRIMA BEGA INTERNAZIONALE CHE DOVRÀ AFFRONTARE BIDEN

Di Lemmy

Decidendo (forse) di cedere il passo al presidente eletto, Donald Trump ha fatto ricredere molti dei suoi fedelissimi collaboratori ed estimatori. Ma noi sappiamo che il Tycoon newyorchese ha in serbo un ultimo regalo per il democratico Joe Biden, prima di mollare la poltrona incandescente.

Sarà perché con l’età magari è diventato vendicativo, sarà perché non ha ancora fatto scoppiare esplicitamente una guerra (rivoluzionario, per essere un presidente americano) oppure per il semplice gusto di creare un po’ di scompiglio sullo scacchiere geopolitico, fatto sta che molte testate giornalistiche negli ultimi giorni stanno riportando in auge la notizia di un Donald Trump in procinto di muovere guerra all’Iran.

Trump, infatti, in un vertice alla Casa Bianca delle scorse settimane, avrebbe chiesto ai suoi collaboratori di valutare le opzioni per attaccare il principale sito nucleare iraniano.

Ma – rassicuriamo i nostri elettori benpensanti scandalizzati, se ce ne dovessero essere – ha poi deciso di non compiere il drammatico passo.

Da quel poco che trapela, le fonti interne dell’amministrazione uscente, il summit si sarebbe svolto nello Studio Ovale giovedì 12 novembre, a due mesi dalla fine del mandato di Trump.

Il presidente uscente Trump, che dovrà consegnerà tutti i poteri presidenziali a Biden entro il 20 gennaio, ha fino ad oggi trascorso tutti e quattro gli anni della sua presidenza impegnandosi in una politica fatta di decisioni aggressive contro l’Iran, ritirandosi nel 2018 dall’accordo sul nucleare negoziato dal suo predecessore democratico, Barack Obama, e imponendo severe sanzioni economiche contro Teheran.

Ricordiamo anche che lo scorso gennaio, proprio Trump ha ordinato l’attacco con i  droni che ha ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani all’aeroporto di Baghdad. Un secondo attacco con obiettivo il principale sito nucleare iraniano a Natanz potrebbe sfociare in un conflitto interregionale e rappresentare una seria sfida di politica estera per Biden.

Di contro, il governo di Rouhani ha spostato una serie di centrifughe nucleari avanzate da un impianto nel suo principale sito di arricchimento dell’uranio a una struttura sotterranea, in una nuova violazione del suo accordo nucleare (Vienna 2015).

Motivazioni sufficienti allora per gettare in panico il Medio Oriente? Non sembra. A dirlo sono vari documenti dei servizi di sicurezza statunitensi secondo cui “l’Iran non è attualmente impegnato in attività chiave associate con il disegno e lo sviluppo di armi nucleari”, parole testuali a pagina 40 del documento preparato dal Dipartimento di Stato nel giugno di quest’anno.

Ma d’altronde questa era la valutazione dello scorso gennaio di Dan Coats, direttore dell’Agenzia di sicurezza nazionale (l’organismo di intelligence che coordina e sovrintende tutti i servizi segreti americani).

“Noi non crediamo che l’Iran stia intraprendendo attività chiave che noi giudichiamo necessarie a produrre dispositivi nucleari”. Notizia riportata da Politico, che a sua volta l’ha ripresa dal prestigioso International Institute For Strategic Studies di Londra.

Nel frattempo, però, l’Iran ha votato una legge che blocca le ispezioni Onu nei siti nucleari. Un po’ come a dire “non vi immischiate negli affari di casa nostra” – uno schiaffo in faccia a chi di sovranità dovrebbe dare l’esempio.

Il provvedimento è stato adottato mercoledì 2 dicembre dall’organo di controllo del consiglio dei Guardiani della Costituzione come ritorsione per l’omicidio dello scienziato Mohsen Fakhrizadeh. Per la morte del fisico considerato il “padre” del programma atomico iraniano, Teheran ha accusato Israele e lanciato un messaggio a tutto l’occidente.

Se sulla responsabilità dell’atto, non rivendicato ufficialmente da nessuno, non sembrano esservi dubbi – Israele – numerose sono però, le domande che solleva. Sul piano politico, si intende, perché sul terreno della legalità internazionale, per quello che vuol dire, ci sono pochi dubbi. Come reagirà il resto del mondo davanti ad una delle più infami azioni mirate del governo israeliano, evidente culmine di una escalation di omicidi a carattere politico?

Insomma, se Trump ha solo pensato di poter iniziare dichiaratamente una guerra contro Tehran, Israele ha calato l’asso, con l’intenzione di far vedere alla nuova amministrazione Biden, più ben disposta verso l’Iran rispetto al presidente uscente, che nessun accordo è possibile senza il volere di Tel Aviv.

È quindi lampante che Joe Biden si troverà davanti ad un problema enorme, stretto nella morsa tra Israele e Teheran. Da una parte si troverà obbligato a rassicurare Gerusalemme che l’America è ancora dalla sua parte, mentre dall’altra si dovrà impegnare a convincere l’Iran a rinunciare all’arma nucleare, e tornare ai negoziati, fornendo agli ayatollah garanzie che non vi sarà nessun Regime Change.

E con Regime Change intendiamo quella piccola clausola che si attivò, come un meccanismo ad orologeria, con la Libia di Gheddafi che dopo aver rinunciato al programma atomico, fu bombardata dalla Nato.