Di Moro

L’Iraq sta in questi mesi tornando al centro di importanti sviluppi geopolitici che vedono una sempre maggiore tensione tra fazioni filo-americane e filo-iraniane. Un autentico campo di battaglia che si consuma – in questa sua ultima fase – da decenni, ma le cui radici risalgono a tutti i conflitti che hanno segnato questo territorio nei precedenti secoli.

La Mesopotamia è infatti una di quelle terre che nel corso della storia umana ha conosciuto pochi periodi di pace, risultando sempre o il baricentro di un potere profondamente centrifugo o l’epicentro di conflittualità centripete che in ogni caso mai hanno dato la possibilità alla regione di vantare una duratura stabilità.

Il territorio del moderno Iraq è definito da molti la culla della civiltà, qui viene infatti inventato il sistema di scrittura verbale più antico tutt’oggi conosciuto. La popolazione sumera, tuttavia, anche se si trova in uno dei punti più favorevoli per lo sviluppo di una civiltà, ha lo svantaggio di trovarsi in una posizione difficilmente difendibile e ambita da molti, la Mesopotamia è infatti una terra fertile e pianeggiante posta tra terre inospitali abitate da genti tutt’altro che pacifiche. Fu così che la regione subì ora la migrazione e ora la conquista di numerose orde di semiti. Primi su tutti sono gli accadi, popolazione che costituì una prima importante civilizzazione semita.

Nei millenni successivi il territorio conoscerà sempre più frequenti invasioni. Assiri, babilonesi, amorrei, greci, persiani. In molti si contenderanno le prospere sponde del Tigri e dell’Eufrate. Famosi sono gli scontri che vedranno contrapposti i “persiani ellenizzati” dell’Impero Partico e i latini. In questo periodo l’Iraq è il centro di un importante civilizzazione dalla cui capitale – Ctesifonte, 30 chilometri a sud di Baghdad – partirono le armate che uccisero Marco Licinio Crasso. Numerose poi, furono le volte che i romani provarono a strappare la regione ai persiani, riuscendoci anche, una volta o due.

Già all’epoca l’Iraq si caratterizzò come il teatro di un conflitto di logoramento tra civiltà. Dopo lo scisma di Costantinopoli e Roma, gli scontri continueranno tra Bizantini e Sassanidi in un lunghissimo conflitto a intensità variabili che interessò oltre alla Mesopotamia anche la Siria e l’odierno Yemen. Le cose cambiarono però nel 7° secolo d.C., ed è qui che le vicende che interessano l’odierno Iraq prendono forma. Il Medio Oriente vede infatti l’alba di un nuovo impero: nel 632 con la morte di Maometto e l’elezione del “khalifa” Abu Bakr sorge l’impero islamico. A rimanerne segnato sarà il destino dell’Iraq, oltre che quello del mondo intero.

Nel 638 il secondo califfo, ‘Umar ibn al-Khattab, annette con successo il Levante, entro il 640 il nuovo impero conquisterà la Mesopotamia, due anni dopo l’Egitto e il suo successore, ‘Uthman ibn ‘Affan, sconfiggerà l’Impero Sassanide annettendo la Persia. Ben presto i vecchi compagni del profeta si ritroveranno a capo di un impero esteso dall’odierna Tunisia al Pakistan. A dettare la fortuna del Califfato l’eredità politica e religiosa di un Maometto che ha canalizzato la natura guerriera del sistema tribale arabo in una più ampia aspirazione statale. A fondamento della nuova sovranità un messaggio universale di fratellanza.

Ma il califfato dei “Rashidun” non sarà rose e fiori, delle tensioni si annidano infatti trai vecchi compagni del profeta. Già alla morte di Maometto si contrapponevano infatti diversi partiti che litigavano su chi avrebbe dovuto succedere al ruolo di capo della comunità.

Al potere si susseguivano infatti eredi della vecchia aristocrazia tribale araba, questo contro il messaggio universalista del Corano. Quest’ultimo veniva invece incarnato da Ali ibn abi Talib, cugino e genero di Maometto, il quale rivendicava il trono califfale per i discendenti del profeta. Questa contrapposizione segnerà profondamente l’Islam. Ali viene eletto califfo dopo la morte di ‘Uthman, il terzo della lista. A complicare il nuovo governo, però, è però la morte in condizioni sospette del suo predecessore, morto assassinato.

È il pretesto perfetto per la famiglia di ‘Uthman, ormai radicata nelle istituzioni califfali. Mu’awiya ibn Abi Sufyan, accusa quindi il nuovo califfo di avere orchestrato una congiura che avrebbe portato la morte del suo parente. Viene subito formata una commissione di indagine che a sorpresa dà ragione a Mu’awiya, verdetto che però non spinge Ali ad abdicare. Ciò porterà alla Fitna, una sanguinosa guerra civile in seno al nuovo impero.

È qui che ha origine la divisione tra sciiti e sunniti, una distinzione inizialmente politica, che nei secoli si concretizzerà a livello dottrinale. Durante la battaglia di Siffin viene siglata una tregua tra le due parti, pace provvisoria che vede la shi’a implodere in preda alle tensioni – con la scissione dei Kharigiti – e Mu’awiya consolidare le sue posizioni. Ali morirà assassinato poco dopo nella sua capitale, Kufa, il suo erede – Husayn – verrà massacrato a Karbala. A Damasco, in Siria, intanto, nasce la dinastia ‘Umayyade. Questi eventi prendono tutti piede in Mesopotamia, in quello che fu il primo passo di un conflitto dottrinale che si protrae tutt’oggi.

Da Damasco il potere ‘Umayyade si abbatte in maniera repressiva sullo sciismo, che ormai va consolidandosi in una dottrina che man mano differirà sempre di più dalla controparte sunnita. Pure la Sunna, da parte sua, si istituzionalizza in questo periodo. L’impero intanto viene retto da un’aristocrazia militare esclusivamente araba che intanto continua a spingere i confini del Dar al-Islam sempre più lontano, sebbene questa supremazia non premi la diffusione della religione musulmana. Questo stato a dominazione araba porterà pace tra le religioni, ma coverà in seno all’Islam tensioni etniche, che presto lo rigetteranno nel caos.

Nel 750, appena 90 anni dopo l’instaurazione della dinastia ‘Umayyade, scoppia la rivoluzione Abbaside, che porta al potere l’omonima dinastia. La rivolta si propaga dalla Persia nordorientale all’Iraq e presto rilegherà il potere dei precedenti califfi al Marocco e all’Andalusia. Sotto questa nuova reggenza l’Iraq tornerà centrale, con la fondazione della nuova capitale dell’impero: Baghdad. Sotto gli abbasidi il califfato passerà dall’espansione territoriale a quella amministrativa e commerciale, il Medio Oriente si tramuterà quindi da zona di frontiera a ricco baricentro di rotte commerciali che mettono in contatto l’India e l’Europa.

Dal momento che l’Iraq diviene il centro di un’importante potere temporale e spirituale le tensioni dottrinali vengono canalizzate in un dibattito ideologico che viene ulteriormente alimentato da un grosso movimento di traduzioni dal greco all’arabo. Scontri armati da califfato e sciiti continuano però a verificarsi non solo in Iraq. Molteplici sette vengono sterminate, tensioni sorgono quando entità statali “alidi” sorgono in Bahrain ed Egitto. La stessa Baghdad diviene talvolta centro di guerriglie urbane e rivolte tra fazioni sunnite, è questa infatti l’epoca degli scontri di piazza tra hanbaliti e mu’taziliti, rispettivamente tradizionalisti e razionalisti. Il potere abbaside lentamente però perde di potere quando sorge l’istituzione dell’Emirato, che strappa il potere temporale dalle mani del califfo rilegandolo a mero capo religioso. In questo senso Baghdad diventa il centro del potere buyide, dinastia sciita di origini iraniche.

A questi succederanno i turco-persiani selgiucchidi, invece sunniti. Questo mentre il resto del dar al-Islam si divide tra numerosi poteri locali. La dinastia abbaside cadrà però definitivamente solo nel 1258, quando l’Iraq verrà sconvolto dall’arrivo di Gengis Khan. Il condottiero mongolo metterà fine al califfato, e così all’epoca d’oro dell’Islam. A partire da questo momento si riproporrà in Mesopotamia una condizione simile a quella pre-islamica. In un breve lasso di tempo ci sarà un tira e molla di diverse entità statali. Dopo l’Ilkhanato mongolo verranno gli azeri dell’Ak-Konyunlu, seguiti dal celebre impero di Tamerlano.

Fu un momento in cui l’Iraq era inserito nella prospettiva territoriale persiana, anche se sempre in maniera più o meno periferica. Questo almeno fino alla dominazione safavide – nota per aver diffuso l’attuale sciismo duodecimano in Iran. Sotto quest’ultima dinastia turco-persiana – nel 1555 – l’Iraq venne infatti perso e annesso all’Impero Ottomano.

Da questo periodo e per molto tempo il Medio Oriente perse la sua importanza in vista della prospettiva più atlantica e centro-europea degli scambi commerciali. Ciò nonostante l’Iraq fu a più riprese scosso da guerre tra turchi e persiani, in quella che si rivelò essere non solo una rivalità politica, ma anche religiosa tra gli ottomani sunniti e le dinastie iraniane invece sciite. Baghdad subì due assedi sanguinosi dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, questo mentre gli scontri più importanti trai due imperi avvennero in realtà sul fronte del Caucaso.

L’Iraq rimase sotto il controllo di sunniti anche a seguito della Prima Guerra Mondiale, quando la regione venne messa sotto protettorato britannico nell’ottica della monarchia hashimita. Fu l’epoca che vide il sorgere del nazionalismo arabo, movimento vicino all’intesa durante l’inglese Campagna di Mesopotamia in chiave anti-ottomana. I nazionalisti si sentirono tuttavia traditi da un’intesa che non soddisfò le loro aspirazioni territoriali. Gli anglo-francesi di fatto colonizzarono il Medio Oriente e preferirono piuttosto fare accordi con un’Arabia Saudita ormai caduta sotto il controllo wahabita. Ciò porto nel 1941 ad un colpo di stato in Iraq che instaurò un governo vicino all’Asse, evento che vide l’intervento immediato degli inglesi.

Gli hashimiti furono rovesciati solo nel 1958 da un colpo di stato militare che portò al potere Abd al-Karim Qasim, figlio di un sunnita e della figlia di un curdo sciita, avverso alle élite economiche e vicino alle logiche popolari e di coesione intereligiosa. Sempre più isolato, fu presto assassinato e sostituito da Saddam Hussein, il cui partito faceva affidamento principalmente sulla componente sunnita della Nazione. In questo periodo l’Iraq conobbe un notevole sviluppo economico, ma ne scaturirono delle tensioni tra le tre componenti principali: sunniti, sciiti e curdi. In particolare questi ultimi erano avversi al Ba’th e per questo conobbero la persecuzione.

Saddam Hussein fu avverso anche alla componente sciita. Dal 1980 al 1988 l’Iraq, supportato dagli Stati Uniti d’America, condusse una lunga guerra contro l’Iran che portò ad un nulla di fatto. La campagna militare condotta contro Tehran iniziò neanche 10 anni dopo la rivoluzione islamica in Persia e segnò profondamente i rapporti tra governo e sciiti. Allo stesso modo, l’invasione neanche un decennio più tardi del Kuwait segnò invece i rapporti tra Baghdad, le nazioni sunnite e le potenze occidentali, le quali deposero e impiccarono Hussein nel 2003.

Con la perdita del potere da parte della componente sunnita, l’Iraq vide il riemergere delle tensioni tra le componenti, ognuna supportata da diversi attori regionali. Caso emblematico l’avvento dell’Isis, alimentato da una profonda volontà di rivalsa da parte della parte più estrema della componente sunnita. È infatti giusto ricordare che l’organizzazione terroristica ha visto anche la partecipazione di ex militari e reparti dell’esercito un tempo vicini a Saddam Hussein.

È quindi giusto affermare che in Iraq si ripropongono tutt’oggi delle dinamiche influenzate da fattori radicati sul territorio da secoli. In primo luogo le differenze religiose generano tensioni che con la mancanza di un potere centrale autorevole o la presenza di un governo sbilanciato in uno dei due sensi, altro non possono che uscirne moltiplicate. Allo stesso modo, la mancata risoluzione della causa curda e i tentativi di Saddam Hussein di operare un genocidio creano un’ulteriore attore locale in cerca della propria rivalsa.

A scaldare ulteriormente la situazione ci sono poi quelle ingerenze straniere di molte delle potenze regionali e internazionali. Scontato ribadire quindi come il conflitto in Iraq sia profondamente multilaterale e si dimostri tutt’oggi essere quel campo di battaglia tra dottrine e visioni del mondo che sembra non voler proclamare un vincitore. Intanto non possiamo che affermare che la parte realmente sconfitta è costituita da quei milioni di civili che da decenni soffrono a causa del più grave conflitto per procura del nuovo millennio.