Di Moro

È una domanda che almeno una volta ci siamo fatti tutti, la cui risposta è inevitabilmente condizionata da tutto quel sensazionalismo mediatico che il giornalismo moderno fa sull’argomento “Medio Oriente”. Le differenze tra sciiti e sunniti sono molte e spesso concernono la psicologia stessa delle due fazioni. L’Islam, infatti, è un fenomeno talmente ampio che si potrebbero scrivere libri interi per descrivere le differenze tra singoli gruppi sunniti e sciiti. Mettere in luce le differenze tra i seguaci delle due principali correnti, è tuttavia il modo migliore per comprendere innanzitutto importanti fenomeni riguardanti il cosiddetto Mondo Islamico.

Per comprendere la natura dello scisma è necessario andare indietro di 1400 anni. Nel 632 d.C. muore il profeta Maometto, il fondatore della religione islamica. Lascia la terra senza designare un erede o un sistema per dettarne la successione. Questo genera subito un ampio dibattito politico che vede la nascita di 3 diverse fazioni: una che voleva il successore nominato dalla città di Medina – ipotesi subito scartata – una che voleva l’elezione del cugino e genero Ali e una che invece voleva l’elezione del capo ad opera direttamente dagli esponenti di maggior prestigio della nuova comunità. La terza ipotesi prevarrà sulle altre, e presto si procederà a elezioni.

Venne così eletto Abu Bakr col titolo di “Califfo” – vicario di Dio. Costui morirà pochi anni dopo, cedendo il passo all’elezione di ‘Umar e, quando anche lui morirà, di ‘Uthman. Tutte e tre le nomine vedono però la forte opposizione di Ali, che diviene califfo solo quando il suo predecessore muore assassinato. Il suo sarà tuttavia un governo tutt’altro che sereno. ‘Uthman aveva infatti portato avanti un’abile politica di nepotismo, riuscendo a piazzare i membri del suo casato – quelli che diverranno gli ‘Umayyadi – nei posti chiave del nuovo impero. È il caso di Mu’awiya, governatore della Siria e capo di una grossa rete di amicizie e alleanze.

Mu’awiya accusa Ali di aver congiurato per uccidere ‘Uthman. La commissione di indagine – per motivazioni politiche – gli dà ragione. Ali tuttavia non rinuncia al califfato e ciò fa scoppiare la Fitna – una guerra civile in seno all’impero. Il primo scontro si avrà a Siffin, in Siria, dove le forze Alidi riescono a mettere in forte difficoltà l’avversario, questo finché le truppe siriane non chiedono la tregua. Con un gesto molto simbolico, gli uomini di Mu’awiya hanno appeso delle pagine del Corano alle loro armi, invocando la fine dello spargimento di sangue musulmano. Ali concede la tregua al nemico, con conseguenze inimmaginabili.

Scontenti della tregua furono i Kharigiti, i quali credevano che solo la battaglia possa manifestare il volere divino. Questi si ribelleranno, impegnando Ali in una lunga campagna. Nel frattempo, Mu’awiya riesce a riorganizzarsi e a vincere contro il califfo, il quale viene assassinato. Nel 661 – appena 30 anni dopo la morte di Maometto – l’Islam si vede padrone di un impero che andava dal Marocco all’attuale Pakistan, sotto il vessillo della nuova dinastia ‘Umayyade, con capitale a Damasco. Nello stesso tempo, tuttavia, si vede già diviso in 3. Con gli alidi che presto diverranno gli sciiti, e l’impero che presto rappresenterà l’ortodossia sunnita.

Il movimento filo-alide aveva inizialmente una connotazione politica. Oltre al fattore dinastico – ormai abbracciato anche dai sunniti – vi erano matrici più nascoste che erano solo parzialmente visibili attraverso i proclami. Ad esempio, Mu’awiya rappresentava la vecchia aristocrazia meccana e come tale portava avanti un’idea di impero dove gli arabi dominassero sulle altre componenti. Nella sua visione gli arabi erano il popolo scelto per la rivelazione e quindi la sua lingua e il suo lignaggio erano superiori. Inutile dire come semplicemente il primo ‘Umayyade intendesse garantire per sé e per le sue alleanze un privilegio.

Ali, invece, voleva sì il potere nelle mani dei famigliari del profeta, tuttavia aveva una visione più universalista dell’Islam. L’aspetto innovatore della nuova fede stava nel superamento di quei legami di sangue invece così importanti nella società tribale pre-islamica. La stessa Egira – posta come anno 0 – altro non era che la scissione dell’Umma dalla società meccana. Inutile quindi dire come Ali aspirasse a un califfato che integrasse i musulmani indipendentemente dal loro retaggio. Una tale visione avrebbe poi permesso all’ex califfo di fondare un potere lontano da quei casati coi quali aveva in comune solo decenni di tensioni e polemiche.

I primi sciiti furono presto sterminati e dispersi. Hassan e Husayn – figli di Ali e rispettivamente secondo e terzo Imam – non furono in grado di offrire una guida politica alla fazione alide. Hassan era un mistico lontano dalle questioni terrene, Husayn fu invece massacrato a Karbala – evento che tutt’oggi si commemora nella medesima città irachena in occasione dell’Ashura. Nella loro emarginazione, però, gli alidi svilupparono delle nuove concezioni teologiche e ben presto si trasformarono da semplice movimento politico a corrente religiosa. Progressivamente si affermò quindi lo sciismo come fenomeno autonomo dall’ortodossia.

In seno a questo nuovo fenomeno acquisisce sempre più importanza la figura dell’Imam, il capo della comunità che nei secoli si caratterizzerà come la matrice di una classe clericale invece estranea al sunnismo. Per gli sciiti questa figura arriva ad acquisire una componente eccezionalmente elevata – divina o profetica in alcuni casi – fatto ovviamente intollerabile per i sunniti che invece tengono fede al messaggio del corano considerando unico il Dio e Maometto l’ultimo dei profeti.

La questione degli Imam rappresenterà però anche un motivo di divisione all’interno della prima comunità sciita. Sebbene le differenze tra le correnti siano molte, presto ci sarà la scissione degli zayditi, seguiti dagli ismaliti. Il principale motivo di dibattito sta nel numero di Imam venuti dopo Maometto. I duodecimani – tutt’oggi predominanti – credono che ce ne siano stati 12, sono 7 invece per gli ismailiti e 4 per gli zayditi. L’ultimo della lista viene messo in stato di “occultamento”, ovvero si crede che non sia morto ma che si sia nascosto e che continui a guidare i suoi in attesa di tornare al sopraggiungere del giorno del giudizio.

Se gli sciiti vengono accompagnati nell’interpretazione dalla figura dell’Imam – che anche dopo l’occultamento continua a ispirare la comunità – i primi sunniti hanno invece una facoltà interpretativa più decentralizzata, che vede la formazione di diverse scuole che si pongono le une verso le altre in un atteggiamento complementare. Scuole più conservatrici – come la scuola hanbalita – si sono a lungo confrontate con correnti più razionaliste – come quella dei mutaziliti – e, sebbene le modalità non fossero sempre le più pacifiche, contribuì a fare evolvere il concetto di “sunna” attraverso la scienza interpretativa.

Ciò ha prodotto innovazioni incredibili nel campo della giurisprudenza religiosa, della teologia, della filosofia e delle altre scienze islamiche. Anche quando il fenomeno è decaduto trasformando la democrazia delle scuole in un’oligarchia retta da solo 4 correnti – malikita, hanafita, shafiita e hanbalita – permise comunque all’impero Abbasside – successivo a quello umayyade – di produrre un’epoca islamica d’oro che ha visto il sunnismo attingere a elementi della filosofia greca, alla cultura sassanide, indiana e persino a innovazioni dalla Cina, dando lustro ad una Baghdad divenuta baricentro mondiale del commercio e della cultura.

Nello stesso periodo anche lo sciismo ha conosciuto notevoli evoluzioni, acquisendo molte delle peculiarità che rimangono tutt’oggi. Inizia a svilupparsi una scuola parallela a quelle sunnite – detta jafarita – che esclude la maggior parte delle fonti non alidi. Inizia poi a caratterizzarsi come una corrente dal sempre più marcato accento esoterico. Soprattutto quando il dodicesimo Imam scompare, inizieranno infatti a dedicarsi a questioni sempre più distaccate dall’aspetto terreno, segnando una netta visione tra ciò che è intangibile, o esoterico, e ciò che è tangibile, o essoterico. Anche in linea con la filosofia greca, amata dagli sciiti.

Tutto cambia a partire dal tredicesimo secolo. Già l’impero abbasside iniziava a vacillare sotto i colpi di incursioni turco-persiane, nel 1253, tuttavia, l’epoca d’oro musulmana giunge alla sua definitiva fine, con la distruzione di Baghdad ad opera di Gengis Khan. L’impero – che già prima era spezzettato e diviso tra potentati locali che rendevano il Califfo una mera autorità spirituale – ora cessa quindi di esistere. Questo evento darà vita ad un’epoca di torpore politico e intellettuale che terminerà con l’invasione napoleonica dell’Egitto, quando il mondo arabo-musulamano – davanti agli europei – porrà fine ai secoli di immobilismo.

Tuttavia – esattamente come il nostro medioevo – anche questa grande epoca di storia presenta importantissime innovazioni in vari campi. Sebbene il mondo arabo perda tutto d’un colpo gran parte del suo prestigio, nascono dinastie di origine turchica come quella ottomana in Turchia, quella Mughal in India e quella Safavide in Persia. Quest’ultima, in particolare, si rivela di importanza fondamentale per i duodecimani, in quanto è sotto questa dinastia di mistici-monarchi che lo sciismo diventa religione di stato. Da Isfahan, altresì, si impone per la prima volta un clero gerarchico e organizzato, la cui struttura rimane tutt’oggi.

D’altra parte, i sunniti rimangono liberi da qualsiasi genere di imposizione ecclesiastica. Vi sono personalità che esercitano una fortissima influenza sui credenti – come il sultano ottomano, investito talvolta anche del titolo di califfo – tuttavia il solo potere universalmente legittimo nei confronti dell’individuo rimane la legge – la sharia – già scritta e sulla quale si può intervenire in pochi modi, che variano da comunità in comunità. Le scuole amministrano autonomamente la legge religiosa e solo nella misura in cui ci sono da esprimere dei pareri giuridici. Per il resto, i monarchi sunniti spesso si limitano a farla rispettare.

Ad esempio, un sunnita può dirsi rappresentante di Dio in terra solo nella misura in cui diventa un califfo universalmente riconosciuto come tale, l’Ayatollah sciita è invece il rappresentante dell’Imam occultato, a sua volta voce – se non reincarnazione – di Dio. Il potere dello statista sunnita è quello di “spronare il bene e proibire il male” in nome della legge, il clero sciita sostiene invece di avere il compito di preparare la comunità al ritorno dell’Imam, questo sotto la giusta guida che lo stesso esercita tramite i suoi rappresentanti. Una differenza sottile, sembrerebbe, ma che in verità comporta un tipo diverso di modus operandi.

Le rispettive tendenze si accentueranno in epoca moderna. La nascita del wahabismo segna la volontà di riportare la “giusta interpretazione della legge”, lontano dalla corruzione delle scuole, dei mistici, degli occidentali e degli sciiti. Il punto di tale dottrina è proprio il voler rimettere in contatto la sharia con l’individuo eliminando qualsiasi possibile interferenza umana. La scuola hanbalita – dalla quale si scinde il wahabismo – prende tuttavia le distanze in virtù di quell’estremismo che Maometto disse di non apprezzare, ricordandoci ancora una volta quanto il sunnismo sia la corrente che più si presta all’interpretazione individuale.

Dal lato opposto, la rivoluzione iraniana del 1979 porta a compimento quel progetto che – platonicamente – già nel diciottesimo secolo voleva la classe sacerdotale alla guida dello stato, in modo da realizzare la volontà dell’Imam. Una prassi improntata sulla ricerca di quanto va oltre l’umana percezione e che si rivela anche in un atteggiamento individuale attuo non a interpretare concetti come quello di giustizia, volontà superiore e bene, ma ad applicarli. D’altra parte, i duodecimani attendono un Imam che – armi alla mano – ripristinerà da sé il messaggio originario del Corano, liberando i popoli oppressi e instaurando un regno di pace e prosperità.