Di Bianca

Ci risiamo. Eccoci di nuovo davanti a un altro sfregio della libertà e dell’uguaglianza che, da giorni, commuove gli animi dei buoni e dei giusti e di tutti coloro che sostengono la gloriosa battaglia a favore del ddl zan. Il caso di Malika Charny, 22enne di Castelfiorentino, cacciata di casa dalla famiglia perché lesbica, sta scandalizzando i media e i social e si pone come il più recente cavallo di battaglia della sinistra per l’approvazione di una legge tutt’altro che garante del diritto della libera espressione.

La notizia si diffonde proprio nei giorni che vedrebbero al centro dell’attenzione le proteste dei ristoratori #ioapro, scesi in piazza per rivendicare niente più del basilare diritto al lavoro, stremati da un anno di mutilazioni e fallimenti causa Covid (anzi: causa la gestione della pandemia da parte del governo). Manifestazioni che, come di consueto, vengono additate come il male assoluto dalla stampa e dalla collettività. Ed ecco come la reazione di cittadini allo stremo abbandonati dallo Stato diventa per l’opinione pubblica il ritrovo dei ciechi egoismi di chi “pensa di essere l’unico ad aver risentito della pandemia”.

Tutto ciò turba ma non stupisce: cosa aspettarsi da una sinistra ora più che mai lontana dal popolo italiano (di cui ancora osa definirsi come la garante dei diritti e delle libertà) e da una falsa opposizione che compatisce su Twitter i manifestanti quando in realtà dovrebbe scendere in piazza al loro fianco?

Aver osato distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla priorità assoluta del momento: l’omofobia imperante. Un’immoralità imperdonabile per la quale politici, ministri, cantanti, VIP e showman vari esprimono il più sentito e commosso sostegno. Una vera e propria mobilitazione ad esclusiva tutela e protezione di coloro che vengono definiti come gli individui più socialmente vulnerabili e più soggetti a maltrattamenti ed esclusioni, mentre i ristoratori accanto alla porta di casa risentono la fame.

Così il tema della discriminazione torna in auge con circostanze di cui, stranamente, si parla nuovamente proprio nel periodo che precede i mesi estivi, con le tensioni di chi possiede locali o attività in prospettiva della stagione in arrivo, e di quella parte di cittadini che hanno visto vanificare i propri “sacrifici” dopo un anno di nulla. La questione si ripresenta con il classico schema: una serie di varie aggressioni a danno della comunità lgbt, che riportano il movente dell’omofobia, questo sembra provare l’esigenza di emanare una legge che mette a tacere ogni idea che si oppone alla narrazione arcobalenata, di così tale importanza che nemmeno può essere paragonata alla situazione d’emergenza che ha messo in ginocchio l’Italia.

In questo scenario toccante e struggente, Malika diventa l’ennesima eroina e vittima esaltata da un sistema che antepone leggi morali assolute a cui bisogna porre assolutamente fine. Così com’è successo a Willy, mesi fa, il cui accaduto ha dato origine al solito prevedibile caso nazionale di razzismo, nonostante le dichiarazioni dei familiari e degli amici del ragazzo escludessero il movente razziale per la sua morte.

In fondo, Malika Charny per le testate giornalistiche e i talk show non è nulla più di questo: solo un altro strumento utile a reggere il gioco della democrazia governo-opposizione. Con quello che segue la popolarità concessa per aver subìto atti e crimini d’odio: interviste, hashtag, papiri toccanti sui social e disponibilità di vitto e alloggio da estranei samaritani, si impiegano oggi come mezzi storie al pari di quella di Malika, validi pretesti per approvare una legge dalla quale a guadagnarci non saranno sicuramente le minoranze violate, ma le tasche dei rappresentati politici che decantano essere sostenitori della lotta contro l’omofobia.