di Cippa

Entriamo oggi nel vivo del Mercenariato parlando di Medioevo e ovviamente non si può parlarne senza nominare le Compagnie di Ventura. Come già accennato nel precedente articolo che trattava dei Vichinghi sviluppiamo l’importanza che hanno avuto i Mercenari affiancando gli Eserciti nazionali nelle guerre chiave della storia europea.

Protagonisti indiscussi di questo tema furono i Soldati di Ventura, veri e propri gruppi di professionisti organizzati che, capeggiati da un Comandante combattevano per uno schieramento piuttosto che un altro. Ne venne fatto largo uso fatto da Signorie, Repubbliche e Ducati che non avendo le sufficienti risorse umane necessarie alla difesa da parte di forze esterne erano costretti ad attingere da quelle economiche.

Firenze, Venezia, Milano ma anche lo stesso Sacro Romano Impero, lo Stato Pontificio tutti usufruirono dei loro servigi per via della proverbiale abilità dimostrata. Un altro motivo che spingeva a optare per i Mercenari fu poi proprio la necessità di far guerra senza perdite sempre in virtù delle poche risorse umane a disposizione. Cinicamente parlando il calcolo da fare era anche su chi avrebbe potuto lavorare le eventuali nuove terre conquistate come anche le vecchie già in possesso.

Si può dire che le Compagnie di Ventura furono dei veri e propri piccoli eserciti in piena regola. Ciò che primariamente spingeva a intraprendere quest’attività era il compenso, spesso elargito in titoli nobiliari e feudi o semplicemente in grandi quantità di denaro anche se come vedremo non fu sempre così. Va detto comunque che nonostante la grande richiesta da parte dei regnanti non godettero mai di buona fama presso il popolo. Non avendo alcun legame con la terra che li stava momentaneamente ospitando essi arrivavano e razziavano, agli occhi dei contadini, quindi, erano tali e quali a qualsiasi altro esercito di invasori animati da sete di sangue e denaro. A questi discutibili comportamenti durante le campagne poi va sicuramente aggiunto il parlare lingue spesso totalmente diverse e come anche i costumi e l’aspetto. È lecito quindi pensare che da qui nasca la triste nomea che il mercenario continua ad avere ancora oggi a prescindere da tutto nella narrazione tradizionale.

Visto il largo uso che se ne fece sono giunte fino a noi molte memorie anche parecchio dettagliate su questi eserciti, dalle forze mercenarie svizzere fino alle Compagnie, ma è proprio a cavallo tra il 1400 e il 1500 che si trova forse la più interessante, si parla del personaggio che per eccellenza fu associato alla sua compagnia, tanto che il simbolo della sua truppa è diventata parte integrante del suo nome per com’è arrivato fino a noi, parliamo infatti di Giovanni delle Bande Nere. Da niente meno che Niccolò Macchiavelli sappiamo di lui che probabilmente fu l’unico in grado contrastare la discesa di Carlo V in Italia. L’ultimo capitano di ventura, uomo burrascoso in giovinezza, che non arrivò a conoscere la vecchiaia. Erede degli Sforza e dei de’ Medici, visse a Roma, dove si distinse per la capacità bellica e per l’indole guerresca arrivando a servire persino il Papa Leone X come soldato. Così facendo si guadagnò una propria Compagnia che istruì e addestrò all’utilizzo di cavalli leggeri e veloci, avendo con acume previsto l’imminente tramonto della cavalleria pesante.

Combatté su innumerevoli fronti per conto del papato, prima per Leone X poi per Clemente IV e si distinse in molte battaglie. Fu proprio alla morte di Leone X che decise di annerire in segno di lutto le sue insegne, le stesse che poi gli valsero il passaggio alla storia.

Passò anche un breve periodo a Venezia, seguito dalle inseparabili Bande Nere, declinò però l’invito della Serenissima a servire con la celebre frase “Né a me si conviene per esser io troppo giovane, né ad essa perché troppo attempata”.

Infine, durante quella che ovviamente fu la sua ultima battaglia, restò ferito da un colpo di falconetto (un piccolo cannone dell’epoca) che lo portò alla morte nel giro di poco tempo. Venne sepolto in armi nel 1526, a soli ventotto anni.

Si conclude così la storia di un altro Mercenario molto interessante, Capitano di Ventura che si trovò ad essere il salvatore di un’Italia confusa e sferzata da innumerevoli conflitti. Una storia che va a ribadire l’indole indispensabile per praticare questo mestiere: durezza, coraggio, forza, abilità e anche la giusta dose di spirito di adattamento.