Di Tommaso

Cos’hanno in comune “Black Lives Matters”, “Friday for Future”, i nuovi criteri per le candidature al premio Oscar e il rinnovato tormentone sul DDL Zan? A parte l’aver rotto le palle ovviamente!

Partiamo intanto dal presupposto che questa non sarà un’analisi, né giuridica né tecnica ma neanche troppo approfondita e chirurgica, su alcuno dei fenomeni prima elencati nello specifico. Questa vuole essere piuttosto un’analisi su una tendenza sempre più di ampia portata con il progredire degli anni.

La prima domanda da porsi è se sia corretto parlare di fenomeni, movimenti o magari forzature.

Perché forzature? Come si potrebbe chiamare una situazione in cui tutti hanno il bisogno di sentirsi parte di una qualche minoranza vessata da qualche fantomatica e non meglio precisata maggioranza? E poi se tutti sono parte di svariate e svariate minoranze vessate da chi è formata questa dispotica maggioranza?

Analizziamo brevemente il movimento Black Lives Matters, movimento internazionale nato negli USA e impegnato nella lotta al razzismo a suon di riscrivere la storia dei secoli passati così da renderla più inclusiva. È davvero cancellando “Via col Vento” da Netflix, il programma di storia classica dalle università o distruggendo monumenti che si riuscirà ad ottenere ciò che non si è riusciti ad ottenere negli ultimi negli ultimi due secoli? Portare sugli schermi rappresentazioni di personaggi della cultura europea in vesta afro riuscirà dove non sono riusciti esempi come il due volte presidente Barack Obama, gli sportivi più pagati al mondo dell’NBA o magari il secondo cantante più ascoltato al mondo Drake? C’è forse da chiedersi se il problema negli Stati Uniti non sia altrove.

Sarà sconveniente ma è doveroso constatare che risulta quantomeno di cattivo gusto vedere nel 2021 gli stra pagati giocatori dell’NBA minaccino di non gareggiare scimmiottando le più che comprensibili proteste degli anni ’70, una su tutte la celebre salita sul podio di Tommie Smith e John Carlos alle olimpiadi del 1968 scalzi e a pugno alzato contro l’apartheid.

Un discorso analogo, anche se magari meno eclatante, si può fare per tutta la mobilitazione che si sta vedendo sulla coda del DDL Zan.

Per carità, nessuno equilibrato e sano di mente negherebbe qualche diritto in più a chi ne ha veramente bisogno, infatti come già affrontato in passato, il vero dibattito non sta certo sui diritti. Ciò che rende veramente controverso questo ormai celebre disegno sono i fin troppo ampi spazi di manovra liberticida che concede a causa della sua pessima stesura (i più maliziosi potrebbero anche arrivare a supporre un’intenzionalità, ma noi come al solito non lo siamo) e le decisamente ampie quantità di denaro che tramite lo stesso verrebbero stanziate ad Arcigay senza alcun tipo di vincolo nel loro utilizzo (di nuovo i più maliziosi potrebbero pensare male).

Il riconoscimento, l’inclusione e infine la normalizzazione degli omosessuali rappresenta oggi un processo antropologico ormai inarrestabile, un fatto a cui la società deve adattarsi. È quindi l’imposizione il miglior modo per agevolare questo processo? Sicuramente no, anzi porta solo a renderlo più odioso e le persone a farvi più resistenza possibile per principio nonostante la consapevolezza della sua inarrestabilità.

Quale, quindi, la reale finalità di questi fenomeni che come già dimostrato sarebbe più corretto chiamate forzature? E come domandato retoricamente all’inizio, cos’hanno in comune?

La risposta alla domanda di inizio articolo è la domanda che la precede, tutto questo genere di realtà hanno in comune lo scopo, spesso velato, che le pone in essere. Risulta infine fondamentale, allora, trovare una risposta a questa ultima domanda rimasta.

Lo scopo sembrerebbe essere proprio quello di sentirsi parte di una qualunque minoranza vessata, indifferente quale, così da potersi lamentare della già citata dispotica maggioranza. I più recettivi si saranno sicuramente già accorti che questa risposta, a sua volta pone in essere un malsano circolo vizioso dove cause ed effetti si mischiano e perdono di senso, ebbene è proprio così.

Questo perché nel ventunesimo secolo ormai, di fronte alla totale decadenza dell’essere, l’avere un ideale per cui poter lottare è un privilegio così tanto raro che per la vera dispotica maggioranza è più che sufficiente avere l’illusione di una battaglia per cui vivere, è più che abbastanza creare un nemico immaginario da cui pretendere libertà che già si possiedono evitando di vedere che i reali problemi della propria condizione stanno altrove.