Di Luca

Sono trascorsi quasi 2 anni da quando per la prima volta furono eliminate in massa tutte le pagine social e la gran parte dei profili privati dei militanti di CasaPound e del Blocco Studentesco. Inutile dire, data la totalizzante digitalizzazione del mondo in corso, quanto questo abbia influito sulla nostra visibilità, di per sé già molto osteggiata sui principali canali di comunicazione.

Data l’appartenenza a multinazionali straniere di queste principali piattaforme social e di informazione, si è anche sfruttata l’occasione per eliminare ogni contraddittorio, affermando che: «Sono privati e voi accettate i termini e le condizioni di utilizzo, possono fare quello che vogliono!» così da non sentire la coscienza sporca dopo aver sputato sull’articolo 21 della loro tanto amata costituzione.

Fin qui nessuna novità sulla censura… Non ha senso fare alcun vittimismo in merito poiché è semplicemente il sistema che cerca di tutelare sé stesso ed è in base a queste reazioni che possiamo capire quanto sono efficaci i nostri attacchi.

È altrettanto inutile poi, a maggior ragione dopo tutto questo tempo, l’atteggiamento mitomane che in molti nella nostra area continuano a portare avanti, esponendo come trofei il numero di profili cancellati e parlando dei 30 giorni di sospensione da Facebook come fossero gli arresti domiciliari.

Cosa si ottiene a farsi censurare? Non è certo un vanto farsi fregare e cadere nelle trappole altrui, la vittoria sta nell’essere scaltri ed aggirare o sormontare gli ostacoli che vengono posti sul proprio cammino da chi ci vuole fermare oppure, ancora meglio, utilizzarli contro di loro.

Va inoltre specificato che un movimento come il nostro non si limita alle sue pagine social e di metodi con i quali veicolare un messaggio ne esistono molti altri e sono ben più divertenti. Non bisogna abbassarsi al livello di chi la militanza politica la fa solo su internet.

Questa censura però non si limita alla sola cancellazione sistematica dei post riguardanti CasaPound o Blocco studentesco, il problema è ben più grande ed è insito nel funzionamento stesso delle piattaforme.

Innanzitutto, un utilizzo poco consapevole aliena gli individui dalla realtà dando un falso senso di sicurezza ed appiattendo le conversazioni in botta e risposta di messaggi scritti, ormai per audio di un minuto si è portati a scusarsi per la lunghezza eccessiva. Quando la conversazione prende una piega non desiderata si può sempre fuggire il confronto bloccando, segnalando o semplicemente spegnendo il dispositivo (ovviamente questo non solo per la politica ma per tutti i tipi di rapporto sociale)

Ma in primo luogo, vi è la ragione per la quale i social sono oggi concepiti da chi li possiede, ovvero un mondo di pubblicità e marketing. Ogni utente viene studiato e profilato da algoritmi che determinano i suoi interessi, i suoi gusti e la sua personalità per evidenziare i contenuti di suo gradimento, pubblicità di prodotti che gli possano piacere, e persone simili a lui. Così facendo l’utente entra in un circolo vizioso digitale in cui solo ciò che secondo determinati algoritmi può interessare viene mostrato.

Questo è incredibilmente nocivo per la società poiché riduce al massimo la possibilità di confronto tra visioni differenti e racchiude ciascuno in un falso mondo dei balocchi digitale dove esiste soltanto ciò che piace. Una subdola e camuffata forma di censura dove semplicemente alcuni contenuti non vengono presentati ad una serie di persone a meno che non vengano cercati, poiché secondo le statistiche non sono loro graditi con una conseguente limitazione del contenuto ad un gruppo limitato di utenti i quali probabilmente già lo approvano.

Quello che sembra l’obiettivo odierno della censura non è banalmente quello di eliminare una determinata parte ma è bensì, entro certi limiti, quello di impedire ogni forma di contatto fra le parti tenendole però entrambe all’interno del sistema così da poter lucrare su entrambe.

Sembra invece che questo metodo al di fuori dei social non piaccia troppo e che invece nella realtà si tenda ad essere più tradizionalisti. Sembra non essere più necessario avere una mente critica, il pacco deve essere già scartato, pronto e uguale per tutti l’unica cosa a cui si deve pensare è immagazzinare le informazioni nella propria calotta cranica così come vengono riportate.

Basti pensare alla trovata malsana che ebbe il Governo Conte 2 di creare una task force contro le fake news, rivelatasi poi fortunatamente essere nulla più di un gruppo whatsapp che dopo un po’ di spam diventa inattivo. Proviamo però a pensare come se il progetto fosse andato in porto.

“L’allenatore” incaricato di formare la squadra era Andrea Martella sottosegretario di stato del PD che a sua volta ben pensato di selezionare un illustre pool di “giornalisti” provenienti dal Corriere della Sera, Fan Page, Huffington Post, Open e perfino l’ex caporedattore di Repubblica Riccardo Luna come punta di diamante. C’è da chiedersi chi mai potrebbe dubitare dell’imparzialità di questa squadra.

Martella ha inoltre affermato in una dichiarazione che:

“L’unità di monitoraggio serve proprio per cercare di creare un unico hub per tutte le informazioni certificate, per fare campagne istituzionali e di sensibilizzazione e confezionare messaggi istituzionali fondati su evidenze scientifiche. […] Poi c’è il lavoro culturale di autodisciplina, che è quello di non far circolare notizia se non sono certe, di pensarci un attimo prima di diffondere notizie che rischiano di non essere veritiere. […] il rischio di imbattersi in fake news e farle circolare e aumenta la diseguaglianza tra cittadini. Credo che uno degli obiettivi che ci si deve dare è di pensare a un programma per aumentare l’alfabetizzazione digitale dei cittadini, anche grazie alla tv.”

Inutile sottolineare quanto tutto ciò sembri un estratto da qualche romanzo distopico, affermare la necessità di una rieducazione dei cittadini per permettergli di capire cosa sia giusto e cosa invece sbagliato, parlare a tutti gli effetti di “confezionare messaggi istituzionali” provenienti da un canale di comunicazione da loro definito l’unico attendibile.

Da Martella tutto molto democratico, linea allo studio!

Il nostro fulcro rivoluzionario invece sta nel cercare il dibattito, nel confronto e perché no nello scontro quando si presenta inevitabile.

Un pensiero non si diffonde unicamente attraverso l’azione ma è quando si contrappone ostinatamente alla corrente avversa che splende di più.

Chiudere ognuno nella gabbia dell’autoreferenzialità, oggi più che mai è ciò che vogliono, ma non potranno mai averci come vogliono.