di Cippa

Uno dei dibattiti filosofici più attuali, discussi e senza dubbio complicati è la bioetica, cioè la disciplina che si occupa delle questioni morali legate alla ricerca biologica e alla medicina.

Specialmente in quest’ultimo periodo i dibattiti che si sentono tra televisione, media ma anche quelli che facciamo con i nostri amici riguardano molto spesso la bioetica. Non è solamente parlare di quarantene, Covid e vaccini, anche se questi ormai ci escono dalle orecchie e non se ne può più; si tratta infatti solo dell’apoteosi di un processo che ha portato una graduale perdita di spiritualità e volontà riversandosi in una goffa ricerca di fittizia aponia.

Certo è importante iniziare dalla realtà di tutti i giorni, tornando a quarantene e via dicendo, per chiedersi quanto noi uomini possiamo dire di essere vivi in assenza di socialità, contatto e un po’ di sano pericolo. Poi però per un’analisi completa sarebbe bene andare a ritroso per giungere fino alla sorgente, la madre di tutte le paure, che l’uomo affronta da millenni: la paura della morte, il terrore che l’inesorabile avanzare del tempo ha per noi esseri mortali.

Con la perdita di fiducia e spiritualità da parte della società, l’uomo ha man mano abbandonato la consolazione data dall’idea di un aldilà dovendosi per forza tuffare a capofitto nella ricerca medica e scientifica per cercare di alleviare la millenaria paura. Di conseguenza la domanda da porsi è la differenza tra vita e sopravvivenza? Cosa rimane parlando di effettivo valore della vita? Da un lato si avanza con l’esasperazione del tenere in vita il più possibile un uomo, anche se cerebralmente morto, pur di non accettarne la dipartita e dall’altro troviamo le battaglie per avanzare l’aborto fino al nono mese. Siamo così tanto schiavi dell’individualismo cronico del nostro tempo che diamo più importanza alla vuota sopravvivenza ad ogni costo che alla nascita di nuove vite.

Quello che viene da chiedersi parlando del soppiantamento della spiritualità da medicina e scienza, a questo punto, è perché l’uomo abbia sempre più paura. Con l’avanzare di queste sicurezze paradossalmente ci sentiamo sempre più preoccupati: potranno le generazioni future vivere le ginocchia sbucciate a calcetto con gli amici? O cresceranno nel terrore dell’infezione e della malattia? Può l’esasperata (ed esasperante) volontà di sopravvivenza essere garanzia di salute? Per rispondere bisogna prima chiedersi cosa sia la salute. Non è solo corpo, ma anche mente e spirito. L’Essere è un connubio di coscienza e materia, anima e corpo. Dedicarsi unicamente a uno o l’altro aspetto trascurando la controparte è sicuramente un grave errore.

Forse manca lo spirito critico, forse manca il coraggio e forse per questo saremo destinati a finire in favore delle macchine che noi stessi abbiamo creato. Questo per non dire che in fondo potremmo anche meritarlo se questa è la direzione.

Ormai in alcuni stati degli USA viene addirittura preso in considerazione un algoritmo per giudicare i criminali e che andrà a sostituire le giurie, stiamo giungendo al punto in cui le macchine che condanneranno l’uomo a morte in barba alle leggi fondamentali della robotica stessa.

Eppure, si è pronti in nome dell’infallibilità della scienza a fare questo e al contempo portare inconsapevolmente alle estreme conseguenze la salute del corpo proprio in nome della salute stessa. In tutto questo risulta evidente la tragica decadenza dello spirito.

Qui non mi vengono altro che termini forti: cosa importa se col microscopio non riesci a individuare la mia anima? Chi cazzo è che ha il diritto di dirmi che lo Spirito non conta, che conta solo la sopravvivenza da una malattia. L’uomo non crede più a ciò che non vede, nemmeno più del resto dei sensi ha fiducia, non vedo la mia anima? Il mio sentimento è solo reazione chimica? Allora ci si affida ciecamente alla tecnica disumanizzante.  La miseria del nostro tempo sta proprio in questo: l’abbandono totale di tutto ciò che non è fisico e tangibile.

Eppure, non per tutti è così, perché uscire e confrontarsi col mondo esterno significa anche conoscere persone che la vedono come te, che non sono pronte a lasciare andare il proprio spirito per paura della Morte trasformata in cieca osservanza di regole per l’illusione di salute del flaccido corpo, allora ti rendi conto che la speranza divampa come i fuochi di Minas Tirith.

La bioetica, i nuovi dibattiti sulla robotica anche, ma più in generale quando si discute del giusto e dello sbagliato deve aprirci gli occhi su una cosa: ascoltiamo per un attimo noi stessi. Leviamoci paraocchi e cuffie, stringiamo la mano a chi ci sta vicino, togliamo questi bavagli virtuali che ci incatenano in freddi monologhi vitrei e viviamo per davvero. Scambiamoci di nuovo parole, tocchiamo con mano la terra e gli alberi, sentiamo il profumo di pioggia. A quel punto forse riusciremo veramente a ricordare che la vita vale solo se vissuta insieme a qualcuno, per qualcuno.

Se riuscissimo a tornare, anche solo per un attimo, a Vivere tutti quanti senza il timore costante magari preferiremmo campare bene per dieci anni di meno piuttosto che rimanere a vegetare senza scopo e da soli, preferiremmo veder crescere un bambino anziché aver paura di non essere pronti a fare i genitori.

L’invito è di smettere con questa continua paura del dolore e della Morte che ci porta a fossilizzarci in bocce di vetro asettiche, smettere di ostinarci a nascondere lo spirito e il trascendente. Riaccettiamo dentro noi stessi che può esserci qualcosa di più che non sta semplicemente nel materiale ma che va ricercato dentro di noi, nella parte che la società ci sta togliendo.

Scateniamo lo spirito e rompiamo le catene del materialismo totalitario.