Di Leonardo

Oggi, 9 agosto, è la ricorrenza della battaglia di Big Hole svoltasi nel 1877 nel Montana.

Questa battaglia è una delle tante svoltesi durante la guerra dei Nasi Forati, che prende il nome dal gruppo di amerindi opposti agli americani.

La guerra scaturì dal dissenso, da parte degli indigeni, di fronte alla richiesta statunitense di essere ricollocati volontariamente in una riserva di appena 3000km², abbandonando così in mano agli “stranieri” gran parte della loro terra natia.

In precedenza infatti le due fazioni avevano stipulato un trattato che garantiva ai nativi oltre 30 000 km² di terra, ma dopo la scoperta della presenza di grandi giacimenti aurei in quelle terre il trattato venne subito calpestato.

I Nasi Forati erano divisi in diverse “sotto-tribù” che però decisero di mettere da parte tutte le differenze unendosi in quel momento di crisi che stava mettendo a rischio l’intero popolo, insieme a loro poi parteciparono alla guerra anche gli alleati della tribù Palus (le due tribù infatti facevano parte dello stesso gruppo etnico, ovvero i Waiilatpuan).

Essi avevano come obiettivo principale quello di arrivare in Canada dove si sarebbero poi uniti a Toro Seduto per riconquistare infine la libertà.

Questa marcia lunga e sfiancante lungo le montagne rocciose si ebbe come prima battaglia veramente importante proprio quella che viene ricordata oggi. Infatti gli amerindi per tutta la fase iniziale della guerra si convinsero di poterla terminare con una sorta di “pareggio” per quanto riguardava le perdite di uomini, non sapendo però che agli statunitensi non importava minimamente di fare distinzione tra guerrieri e civili.

L’azione si svolse di notte, i sodati del comandante “americano” Gibson a seguito dell’ordine di non fare prigionieri iniziarono a dare fuoco alle tende degli indiani e questi ultimi, presi alla sprovvista caddero nel caos divenendo preda facile degli aggressori. Nonostante ciò un gruppo di indigeni riuscì a rispondere al fuoco, uccidendo così il sottotenente che gestiva il fronte nord e facendo calare drasticamente l’animo delle truppe invasori. In questo modo gli amerindi si aprirono quindi un corridoio di fuga, in cui i vari capi tribù indirizzarono i vari civili.

I guerrieri poi, ripreso il controllo e impugnate le loro armi, iniziarono a contrattaccare gli americani ferendo lo stesso Gibson e uccidendo tutti gli operatori dell’obice che avrebbe dovuto coprire la ritirata americana a seguito del contrattacco.

Alla battaglia, secondo alcune fonti (di cui però non è possibile accertare la completa affidabilità), parteciparono da parte degli statunitensi 147 militari accompagnati da 35 volontari mentre per i nasi forati si poterono contare circa 200 guerrieri. Mentre alla fine della stessa si ebbero 31 morti e 40 feriti “americani” mentre circa 90 morti e un numero imprecisato di feriti per gli indigeni (la maggioranza dei quali civili).

In seguito avvenimenti, la guerra divenne in realtà più una corsa contro il tempo verso il confine cosparsa di tragedie che una guerra come la intendiamo.

Nonostante le gradi abilità militari degli indigeni, infatti, essi subirono una sconfitta fatale in una zona adiacente a Snake Creek dove la maggioranza della tribù si arrese all’esercito nemico segnando così la fine della guerra vera e propria dopo breve tempo.

Gli arresi vennero invece arrestati e incarcerati. Solo dopo diversi anni gli fu permesso di riavere una riserva ma non più nelle loro terre d’origine. Mentre solo un piccolo gruppo decisi a non arrendersi riuscì a raggiungere il Canada e la salvezza

I Nasi Forati sono sicuramente un esempio di come concetti come l’appartenenza al suolo e ad una comunità sono più alti ed importanti di qualsiasi altro valore si possa gridare di avere e di quanto possa essere alto il prezzo per chi decide di difenderli contro le logiche del denaro.

Si invita a pensare, in ricorrenza della data di oggi, a quanto questo popoli così radicati in tradizioni antichissime abbiano da insegnare a noi e quanto di similare possa esserci nella realtà che viviamo in questo momento.