Di Enrico

Quello che sembrava essere uno di quegli argomenti di cui ogni tanto si sente parlare, magari mentre si è seduti a cena e si ascolta distrattamente il telegiornale, assume sempre di più la fisionomia di fatti accertati. E i risvolti internazionali e geopolitici potrebbero non essere da poco.

Stiamo parlando del governo di Pechino e delle accuse di genocidio ai danni del popolo uiguro, recentemente mosse nei suoi confronti dal tribunale pubblico inglese, in una sentenza a dir poco esplosiva.

Premettiamo che questa sentenza non è stata emessa da alcun tribunale di nessuna organizzazione sovranazionale, ma solo da un tribunale pubblico nazionale e pertanto non ha alcun potere sanzionatorio. Ma tanto è bastato a far mobilitare contro la Cina (solo diplomaticamente, si intende) alcuni tra i più importanti paesi occidentali. Ma andiamo per gradi.

Innanzitutto, chi sono gli Uiguri e perché il governo cinese sta attuando questa dura repressione contro di loro e, stando alla sentenza sopracitata, sta cercando probabilmente anche di sterminarli? Dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di circa novant’anni.

Gli Uiguri sono un popolo di origine turco-mongola che abita la regione dello Xinjiang, parlano una lingua imparentata con il turco e a cui si un altro importante fattore ovvero la religione Islamica. In altre parole, con i cinesi non hanno proprio nulla a che fare. Stando agli ultimi rapporti ufficiali del governo cinese, gli Uiguri dello Xinjiang sarebbero circa 12 milioni e mezzo.

Nel 1933, durante il governo del presidente nazionalista Chiang Kai-shek, gli Uiguri cercarono la propria indipendenza con la proclamazione di una nuova nazione: la Repubblica Islamica del Turkestan orientale. Ma questo tentativo ebbe vita breve: neanche un anno dopo, le truppe nazionaliste di Chiang Kai-shek marciarono sulla capitale della nuova repubblica, Kashgar e sbaragliarono le milizie degli Uiguri. Più tardi ci fu un secondo tentativo di indipendenza, che nel 1944 portò alla proclamazione della seconda Repubblica del Turkestan orientale, ma anche questo tentativo durò molto poco e nel 1949 le milizie comuniste di Mao Tse Tung (con il sostegno dell’Unione Sovietica di Stalin) annessero la regione dello Xinjiang e misero fine al sogno degli Uiguri di una patria indipendente.

Si venne dunque a creare una situazione per certi versi simile a quella dell’Irlanda del secolo scorso, in lotta contro la dominazione inglese.

La Cina, ovviamente, sostiene di avere pretese antichissime sullo Xinjiang e che tale regione è “parte inseparabile della nazione cinese”. Questa affermazione però non regge per vari motivi; in primis perché i confini dello Xinjiang sono cambiati molto nel corso del tempo e sono stati ridisegnati più volte a seconda del governo vigente, in secundis perché il fatto che gli Uiguri parlino una lingua turco-mongola, siano musulmani e abbiano tradizioni secolari a sé stanti, differenzia chiaramente lo Xinjiang dal resto della Cina.

Dopo la presa del potere da parte di Mao Tse Tung, si intensificò l’emigrazione degli Uiguri dallo Xinjiang per sfuggire alla repressione politica e religiosa del nuovo governo. Nel frattempo, sotto incitamento del governo di Pechino che intendeva ripopolare la regione con persone di etnia cinese, milioni di cinesi iniziarono a migrare nello Xinjiang, arrivando a costituire il secondo gruppo etnico più grande nella regione (dopo gli Uiguri, naturalmente).

Nel frattempo, la Cina ha portato avanti politiche di controllo delle nascite contro gli Uiguri, sembra con l’obiettivo di ridurre le nascite di circa 2-4 milioni.

Ma torniamo ai giorni nostri. Nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre, l’Occidente era in piena fase di “guerra al terrore” e anche la Cina volle lanciare la propria campagna contro il terrorismo e, inutile dirlo, colse la palla al balzo per colpire ulteriormente gli Uiguri utilizzando come motivazione il fatto che gli Uiguri sono musulmani (e quindi potenziali estremisti).

Poi, nel 2017, il presidente Xi Jinping affermò pubblicamente che “tutte le religioni nel Paese dovrebbero avere un orientamento cinese” in linea con la sua politica di “sinificazione”.

La repressione nei confronti degli Uiguri da parte del governo di Pechino è divenuta col tempo sempre più dura, con attivisti Uiguri e persino studenti denunciati come “terroristi islamici” e arrestati o condannati a morte in processi sommari. Gli Uiguri, che erano emigrati all’estero e poi erano tornati nello Xinjiang, sono stati sospettati di “promuovere ideologie estremiste vicine a organizzazioni di stampo terroristico” e per questo arrestati e interrogati con metodi poco ortodossi.

Stando alle poche informazioni che si hanno su quanto accade nello Xinjiang, sarebbero circa un milione gli Uiguri detenuti nei “campi di rieducazione” della regione.

Il governo di Pechino, naturalmente, nega tutto, dichiarando che si tratta solo di “luoghi di formazione volti ad allontanare le persone dall’estremismo”.

Per tornare al punto da cui siamo partiti, nello scorso dicembre 2021 il tribunale pubblico britannico ha emesso una durissima sentenza (anche se, come già detto, priva di potere sanzionatorio) contro il governo di Pechino. Se prima tali crimini erano “solo presunti”, adesso invece stanno cominciando ad emergere sempre più prove schiaccianti, soprattutto risultano fondamentali le testimonianze degli ex-detenuti rifugiatisi in Occidente.

Si parla di sterilizzazioni forzate, rigidi controlli delle nascite, torture, esecuzioni e chi più ne ha più ne metta. E dopo la sentenza, tutte le prove sono state portate al procuratore dell’Aja, che ora dovrà valutare e decidere se aprire un’inchiesta contro la Cina, con l’accusa di crimini contro l’umanità e di genocidio.

La reazione delle principali nazioni occidentali non si è fatta attendere: Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Australia hanno già annunciato il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali “Pechino 2022”.

Se davvero il tribunale dell’Aja condannerà la Cina per tutti i motivi che già abbiamo citato, i rapporti tra l’Occidente e Pechino potrebbero farsi ancora più tesi di quanto già non siano.

Resta da chiedersi se una eventuale condanna nei confronti della Cina, potrebbe diventare un pretesto o un casus belli per uno scontro (anche militare) tra l’Occidente e la Cina che, in base a quanto sostenuto recentemente da analisti ed esperti di geopolitica, prima o poi dovrebbe arrivare.

Ma questa è una domanda a cui solo il futuro potrà dare una risposta.