Di Lemmy

Se il personaggio della Ligera che ideò la Rapina di via Osoppo di cui abbiamo parlato il mese scorso fu Ugo Ciappina, oggi conosciamo Luciano Lutring, detto “il solista del mitra”, per poi infine giungere al definitivo declino di quest’era.

Un soprannome particolare, dovuto all’abitudine di nascondere l’arma nella custodia di un violino che usava sin da giovane. Negli anni Sessanta, Lutring si è reso reo di circa 500 rapine in negozi e banche, tra Italia e Francia. Alla sua vita è stato anche dedicato un film con Alain Delon, Lo zingaro. Lutring proveniva dallo stesso contesto sociale che ha prodotto Barbieri, Ciappina e gli altri esponenti della Ligera. Stando a quanto ha raccontato lui stesso, la sua carriera da fuorilegge iniziò per caso: un giorno, da giovanissimo, era in coda alle Poste, per pagare una bolletta. L’impiegato, lento, non riusciva a portare a termine l’operazione e Lutring era in ritardo per il successivo appuntamento. Per la stizza, Luciano aveva dato un pugno sul bancone. Nel movimento si era vista la pistola giocattolo che portava alla cintura, l’impiegato aveva creduto fosse una rapina e gli aveva consegnato i soldi.

Da quel giorno era cominciata la sua carriera criminale, che tra soggiorni in alberghi di lusso, auto fuoriserie e belle donne lo portò a diventare una leggenda popolare e a ottenere il titolo di “nemico pubblico numero uno“, ricercato sia in Italia che in Francia. Venne arrestato a Parigi nel 1965 e finì per scontare ben 12 anni di carcere in Francia, durante i quali iniziò a dipingere e scambiare lettere con l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Nello stesso periodo in cui Lutring sviolinava il mitra durante le sue rapine, la Ligera stava cambiando profondamente, allontanandosi sempre di più da quei valori e dagli ideali di giustizia sociale su cui era fondata. Da una malavita povera e disorganizzata che faceva crimini per sbancare il lunario, si trasformò presto in una vera e propria organizzazione criminale, legata al mondo della finanza e alle mafie.

Il vero punto di svolta di questo processo fu la rapina in largo Zandonai, fatta dalla Banda Cavallero. La Banda Cavallero era formata da quattro operai torinesi di simpatie anarchiche, — Pietro Cavallero, Sante Notarnicola, Donato Lopez e Adriano Rovoletto — che si dedicavano alle rapine tra Torino e Milano. Il 25 settembre del 1967 i quattro della Banda Cavallero assaltarono una filiale del Banco di Napoli in largo Zandonai a Milano e fuggirono sparando all’impazzata inseguiti dalla polizia, uccidendo tre passanti.

Il ricorso alla violenza e alle armi era qualcosa di inedito e con la rapina in largo Zandonai — che pure c’entrava poco o niente con la Ligera, perché organizzata e compiuta con motivazioni esclusivamente politiche — iniziò il declino della malavita milanese.

Da quel momento i metodi criminali della Ligera diventarono sempre più violenti e la sua struttura si trasformò, ispirandosi sempre più ai modelli della camorra e della mafia siciliana. Del resto, nel frattempo anche Milano era cambiata: la città in macerie dell’immediato dopoguerra stava diventando la Milano da bere degli anni Ottanta.

Nel periodo tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la città è stata saldamente nelle mani prima di Francesco “Francis” Turatello (detto “Faccia d’angelo“) e in seguito del suo luogotenente Angelo Epaminonda (detto “il Tebano”), entrambi uomini legati agli ambienti di Cosa Nostra.

La banda di Turatello, formata prevalentemente da catanesi, non si dedicava più alle rapine, a differenza delle bande criminali che abbiamo già conosciuto. Gestiva bensì il racket del gioco d’azzardo e della prostituzione in tutta la città. Parte dello spirito della prima malavita milanese sopravviveva ancora negli stretti legami di Turatello con gli ambienti della musica e della cultura popolare, primo tra tutti il suo rapporto di amicizia con Franco Califano, che mise il figlio del boss sulla copertina del suo album più famoso, Tutto il resto è noia.

Alla figura di Turatello si contrapponeva quella di Vallanzasca, che si può considerare invece l’ultimo vero esponente della Ligera. La banda di Vallanzasca si occupava di rapine e sequestri di persona ed era radicata profondamente sul territorio, nel quartiere periferico della Comasina. Furono però proprio queste caratteristiche tradizionali della Ligera che col tempo decretarono la fine della presa di Vallanzasca sul territorio, che venne considerato dalle giovani leve dell’epoca come un vecchio brigante romanticone, decisamente anacronistico rispetto al tessuto sociale che si era creato.

La sua fine era inevitabile, del resto, perché le stesse condizioni sociali da cui era nata non esistevano più, come ha spiegato lo stesso Luciano Lutring in una delle ultime interviste rilasciate prima di morire:

«Era una Milano che oggi come oggi non esiste più. A quei tempi c’era una Milano più di ringhiera, c’era un approccio di simpatia tra i banditi e i derubati. Quando andavo in banca a fare una rapina portavo via pure le cambiali, così facevo un favore a quelli che dovevano pagarle.»

Dopo una guerra sanguinosa, l’arresto dei capi dei due gruppi e il brutale assassinio di Turatello per conto del boss della camorra Raffaele Cutolo, Milano cadde nelle mani delle mafie meridionali e il periodo della Ligera, dei banditi gentiluomini, del quartiere con il brigante di zona, finì per lasciare definitivamente la città.