di Enrico

Il generale Robert E. Lee, o “Padron Robert” come lo chiamavano affettuosamente i suoi uomini, è diventato un vero e proprio simbolo della follia marchiata “Black Lives Matter”. O meglio, non tanto lui direttamente, ma le sue statue. Ebbe infatti, nel bene e nel male, una grande risonanza (anche all’estero) la notizia della rimozione della più famosa e importante, tra le varie statue dedicate al generale confederato, a Richmond (che fu capitale della Confederazione, tra l’altro).

Che la cancel culture in salsa BLM si sarebbe abbattuta in primis sulla memoria del Vecchio Sud e della Guerra Civile, era più che scontato, ma che la loro falsificazione della storia arrivasse a tali livelli ha lasciato sbigottite tutte quelle persone che proprio della storia si occupano seriamente.

Nella narrazione mainstream e politicamente corretta le reinvenzioni del passato sono all’ordine del giorno: dai Romani di colore, passando per gli Antichi Greci LGBT, fino alla corte inglese della serie Netflix “Bridgerton” con membri dell’aristocrazia di origini africane.

Facciamo chiarezza:

  • I Romani, notoriamente e storicamente appartengono al ceppo della grande famiglia indoeuropea, quindi, al di là di possibili cittadinanze acquisite da meritevoli stranieri è pressoché impossibile assimilarli a ceppi etnici africani.
  • I Greci, sicuramente praticavano l’omosessualità ma non certo come è intesa in senso odierno. Per gli antichi greci essa aveva spesso un fine “educativo”, se così vogliamo chiamarlo, in quanto essa avveniva tra un uomo anziano (solitamente un maestro) che aveva il dovere di “istruire” anche in quel campo il giovane allievo. Concetti totalmente moderni come quello delle ‘coppie di fatto’ erano loro totalmente estranei, anzi spesso riprovevoli.
  • Nobili inglesi di colore, è solo un totale e senza senso cambio di narrazione del passato. Nobili di colore nella più grande (e una delle più razziste) potenza coloniale che la storia abbia conosciuto, come concetto risponde ampiamente al dubbio.

Ma a questo ci siamo quasi abituati, c’è invece un argomento che è più di tutti (o quasi) vittima di semplificazioni e falsi miti in salsa politically correct: la Guerra Civile Americana.

Questo è uno degli esempi più chiari e lampanti (dopo la narrazione mainstream sulla Seconda Guerra Mondiale, naturalmente) di come si può semplificare la storia fino a ridurla ad un fumetto, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

Questa prospettiva “fumettistica” nasce dalla narrazione ultra-semplificatoria sulla Guerra Civile che vuole raccontarla come la “guerra per l’abolizione della schiavitù”.

Il problema della schiavitù è stato senz’altro uno dei punti su cui gli Stati Uniti si sono spaccati, ma non dimentichiamo che anche tra gli stati ‘Nordisti’ combatterono territori in cui la schiavitù rimase in vigore ben salda fino alla fine della guerra, quando venne emanata l’abolizione nazionale.

Ma attenzione, non bisogna pensare che siccome gli stati del nord avevano abolito la schiavitù allora pensavano anche all’uguaglianza sociale, in una sorta di discorso moralistico e/o umanitario. Il nord aveva scelto di abolire la schiavitù perché, a differenza del Sud agricolo, era fondato sull’industria e sul lavoro degli operai bianchi: e, secondo le parole di John Adams (II presidente degli Stati Uniti), se al nord fosse stato possibile utilizzare gli schiavi nelle fabbriche, “gli operai bianchi avrebbero ammazzato i neri, e forse anche i loro padroni”. In sostanza, gli operai bianchi non volevano la concorrenza degli schiavi neri.

Iconico in questo senso è il fatto che anche gli stati non schiavisti avevano leggi che vietavano il voto ai neri e in alcuni casi addirittura la residenza.

Ad esempio, l’Illinois (lo stato da cui proveniva il presidente Lincoln) vietava l’ingresso a qualunque nero libero che non fosse già residente in quello stato. E anche durante la guerra civile, quando Lincoln volle introdurre la coscrizione obbligatoria (cosa a cui gli americani sono sempre stati allergici) a New York scoppiò una violenta insurrezione della popolazione bianca, che assaltò i quartieri neri gridando a questi ultimi: “per colpa vostra siamo costretti ad andare a farci ammazzare”.

Inoltre, l’idea che prima o poi la schiavitù si sarebbe dovuta abolire circolava anche al Sud ed era di questa opinione anche quello stesso generale Robert E. Lee, oggi etichettato dagli “storici fai-da-te” di BLM che pretendono l’abbattimento delle sue statue, come un “mostro schiavista”.

Altrettanto importante sottolineare che lo stesso Lincoln all’inizio del suo mandato dichiarò di “non aver alcuna intenzione di interferire con la istituzione della schiavitù laddove esiste”, sostenendo che ogni stato aveva il diritto di fare come meglio credeva, per quanto riguardava la schiavitù.

La schiavitù è stato il punto d’attrito, che non ha fatto altro che mettere in evidenza una cosa che anche all’epoca era tangibile, e cioè che il Nord e il Sud erano (e lo sono ancora oggi) due nazioni completamente diverse, con sistemi economici diametralmente opposti (l’uno fondato sull’industria e l’altro sull’agricoltura e il lavoro degli schiavi). E gli effetti di questa spaccatura sociale si sentono ancora oggi.

Detto tutto questo, la domanda sorge spontanea: perché si continua a pensare che un conflitto che ha prodotto un vero e proprio lago di sangue (circa 600.000 morti), sia stato combattuto solo ed esclusivamente per il problema della schiavitù?

Le risposte possono essere due, collegate però tra loro: la prima è che la complessità spaventa, molto più comodo semplificare tutto e raccontarsi anche le cose più complesse come se fossero, appunto, dei “fumetti”, in cui ci sono i buoni e i cattivi. La seconda è che il passato può essere un’arma per dar valore alle proprie convinzioni, ma per chi crede che la complessità possa essere ridotta ad un fumetto, non è un problema falsificare il passato per piegarlo alle proprie convinzioni. Il rischio maggiore è che, a forza di reinventare il passato per giustificare la propria ideologia, si creda più a queste false narrazioni che non agli specialisti che di queste cose si occupano.

In fondo è risaputo, a forza di ripetere sempre le stesse menzogne, il rischio è di finire col crederci.