Di Bologna

La lunga storia della civiltà Romana ha segnato sicuramente in maniera indelebile l’Occidente e il mondo intero, non solo nel paesaggio quotidiano con ruderi, reperti e infrastrutture in alcuni casi ancora perfettamente funzionanti, ma anche e soprattutto per tutti quei valori che l’uomo Romano incarnava e che in parte segnano ancora a fondo l’etica dei suoi successori.

Nonostante oggi la dittatura del capitale spinga sempre più sul pedale della devirilizzazione, della vita facile e comoda senza responsabilità, del consumo più sfrenato, è indubbio che vi siano figure della società antica che ancora sono capaci, con le loro storie, di scatenare un fremito dentro il nostro Essere, di far scaturire dal nostro cuore un sussulto, che se coltivato può diventare un ruggito di rivolta.

È proprio il caso allora di andare a scavare a fondo in questi esempi virtuosi che Roma ha seminato sulle sue strade lastricate, e di riportarli alla luce per carpire quello che di più buono possono lasciarci.

Marco Claudio Marcello dunque, chi sarebbe questo romano su cui oggi andiamo ad indagare? Per capirlo a fondo dobbiamo immedesimarci in quella che era la società romana repubblicana, temprata da costanti guerre sotto le insegne delle aquile legionarie ed in cui la virilità marziale era considerata forse il carattere più importante per i giovani patrizi (non che i plebei fossero da meno in questo).

Giovani temprati dal clangore delle spade fin dalla più tenera età, condotti dai padri sul campo di battaglia per assaporare il profumo di fuoco e sangue, insomma, giovani forgiati per fare la guerra. Ed è proprio durante una di queste innumerevoli guerre, in questo caso contro i galli Insumbri (stanziati in un territorio che corrisponde circa all’attuale Lombardia) che Claudio Marcello entrerà per sempre nella storia militare della nostra civiltà.

È il 222 a.C. e Marcello è al suo primo Consolato al comando di un’armata che si cimenta nell’assedio della fortezza di Acerrae (nei pressi di Cremona) quando un messo giunge al suo campo per comunicargli che un’imponente armata nemica ha attaccato Clastidium, una cittadina alleata. Non potendo lasciare al nemico la soddisfazione di distoglierlo dalla propria campagna, il console Marcello lascia tutta la propria fanteria ad assediare l’obiettivo primario e corre incontro al nemico con la sola cavalleria, console e legati in testa.

Giunti a contatto con l’armata degli Insumbri l’impeto dei destrieri romani scuote il terreno e fa tremare gli avversari, che pure combattono valorosamente per diverso tempo fino a quando, riconosciuto tra le schiere nemiche il re dei Galli Viridomaro, Marcello con pochissimi uomini fedeli, si getta nel furore del centro dell’esercito nemico riuscendo a disarcionare ed uccidere il feroce condottiero e a riportare il trionfo per sé e i propri soldati che fanno finalmente strage degli avversari riportando una vittoria straordinaria.

Marco Claudio Marcello venne insignito del più grande onore per un comandante romano, ottenne le Spoliae Opimae, ossia l’onore di poter ornare il tempio di Giove Capitolino con le spoglie appunto del nemico ucciso. Un onore che solo tre romani ottennero in tutta la storia, ed uno fu Romolo.

Cosa ci insegna dunque la storia di Clastidium e di Claudio Marcello? Che sono esistiti uomini che non davano ordini dalle ultime file mandando al macello i propri soldati, che valenti leader e uomini politici seppero anche rischiare la propria vita in situazioni tragiche, pronti all’estremo sacrificio pur di salvare la propria terra, i propri uomini, pur di ottenere la gloria.

Forse è proprio il caso, oggi, che una generazione sorga prendendo coscienza di questo esempio e che lo riporti nella propria vita di tutti i giorni perché, a volte, per non dover vivere una vita di paure e precarietà, basta dare di sproni e caricare le avversità come un novello Marte, o come appunto Marco Claudio Marcello.