di Patrizio

In un periodo di assoluta concentrazione del mondo dei media sulla guerra in Ucraina, un evento importante ha scosso una nazione dall’altra parte d’Europa, in particolare nelle isole Britanniche: in Irlanda del Nord, infatti, il partito indipendentista cattolico repubblicano Sinn Féin ha vinto le elezioni generali.

Un risultato certamente inaspettato, dato il fatto che l’Irlanda del Nord, fin dalla sua nascita è stata, da un punto di vista politico, un feudo degli unionisti protestanti. L’ex braccio politico dell’IRA, la famosa formazione paramilitare nazionalista irlandese, ha riscosso un fragoroso successo, il quale però non va interpretato come un cambio di rotta clamoroso dal passato. Lo Sinn Féin, infatti, stando ai dati, ha ottenuto 27 seggi, lo stesso numero del 2017. La cosa che risalta agli occhi, infatti, è il crollo vertiginoso del partito egemone nel mondo protestante: il DUP, il partito unionista, ha infatti avuto un grave tracollo perdendo il 6,7% dei consensi e tre seggi nell’Assemblea. I voti unionisti non sono però andati dispersi: il più grande decollo elettorale di questa tornata, infatti, l’hanno avuto partiti come l’Alleanza (partito liberale unionista, passato al 13,53% dal 9%) e in particolare la TUV, (Traditional Unionist Voice), che in queste elezioni ha preso posizioni ferree, radicalizzando l’elettorato protestante ed introducendo nuovi spunti politici, basandosi sul malcontento dei filo-britannici rispetto al DUP, considerato troppo moderato. I lealisti conservatori di James Allister hanno infatti guadagnato un solido 7,63%, crescendo di ben 5,1 punti percentuali ma guadagnando un solo seggio, ossia quello del portavoce.

La questione rimane dunque aperta: stando così le cose, è improbabile una nuova maggioranza di un solo colore. Nonostante il malgoverno unionista, negli ultimi anni il DUP è sempre riuscito a mettere le mani sulla poltrona del primo ministro, mentre lo Sinn Féin ha svolto tradizionalmente il ruolo di “chioccia”, accontentandosi di alcuni ministeri chiave e della vicepresidenza del governo. In Irlanda del Nord, però, queste elezioni hanno suscitato stupore e novità; per la prima volta, la parte della popolazione oppressa da forze armate e governi britannici che hanno fatto di tutto per impedirne l’autodeterminazione, ha dato un forte segnale politico: non a caso, nelle ultime settimane gli stessi politici provenienti dalla Repubblica, vedendo il successo dello Sinn Féin nei sondaggi, hanno riaperto la pista ad un possibile referendum. A differenza della Scozia, però, dove da anni governa un partito dichiaratamente indipendentista (e già fautore nel 2014 di un referendum per l’autodeterminazione fallito di poco), in Irlanda del Nord vige un sistema proporzionale e rappresentativo, e un’opzione simile sembra dunque alquanto improbabile. Rimane anche il fatto, che il sogno di un’Irlanda Unita sarebbe difficilmente realizzabile per mezzi democratici, a causa della presenza di una maggioranza protestante e filo-inglese molto decisa e radicata. Non a caso, l’IRA e tutte le sue scissioni hanno sempre proposto (prima dell’allontanamento dello Sinn Féin) l’idea del physical force Irish republicanism, un repubblicanesimo da raggiungere con le armi, scontrandosi fisicamente con l’invasore britannico.

Oggi, siamo ovviamente lontani da un episodio come l’attentato scampato a Margaret Thatcher o l’esplosione della nave di Lord Mountbatten, ma l’astio fra le due popolazioni è ancora presente, sopito dall’Accordo del Venerdì Santo ma riacceso in piccola parte dalla Brexit e dalle recenti elezioni. La sensazione generale, in Nord Irlanda come nel resto d’Europa, è una radicalizzazione in termini del discorso politico: a seguito di queste elezioni, infatti, (seconde in pochi anni in cui lo Sinn Féin trionfa dopo quelle nell’Eire del 2020), si è ricominciato a parlare di questioni come le “zone libere” di Derry, Armagh e Newry, grandi città nordirlandesi a larga maggioranza cattolica e repubblicana.

Sicuramente la singola vittoria dello Sinn Féin non sarà la causa di una auspicabile indipendenza e riunificazione dello stato nordirlandese all’Eire, ma è un importante segno di cambiamento politico. Il partito di presieduto da Michelle O’Neill, infatti, negli anni si è sempre più moderato, andando quasi a toccare punti riconducibili ad un brutto PD nostrano, ma i nordirlandesi vedono l’elezione locale come un segnale: votare Sinn Féin, per quanto possa fare schifo ad un elettore cattolico medio, significa senso di appartenenza a una fazione sociale e identitaria. Il ritorno all’egemonia del partito fondato da Michael Collins, nella politica irlandese, segna una chiara svolta nel mondo cattolico delle Isole Britanniche: il vento indipendentista è tornato a soffiare, e le bandiere con l’Arpa garriscono più fiere di prima sui tetti dei cattolici dell’Ulster.