Di Bianca

Molto (si può dire anche troppo) si è detto della recente svolta della Corte Suprema statunitense in merito alla sentenza Roe v. Wade, che regolava l’effettuabilità dell’aborto negli USA. La vicenda ha assunto le dimensioni del classico caso mediatico che indigna le masse, che senza perdere tempo si sono espresse sull’ennesimo scandalo di tendenza braccando l’eretico controcorrente di turno. I titoloni acchiappalike parlano di imposizione del divieto assoluto dell’aborto negli Stati Uniti, quando in realtà è stata data libera scelta ai singoli stati sul renderlo legale o meno, e già 13 su 50 hanno vietato l’aborto anche a livello penale (com’è il caso del Texas). Pare però che il numero sia destinato ad aumentare.

Quella dell’aborto è una delle numerose questioni sociali attuali che è giusto affrontare, e che effettivamente viene affrontata, ma male. Ad oggi si distinguono solo due posizioni in merito, di cui una è quella liberal-femminista che rende l’aborto una pratica legittimata e giustificabile a prescindere, e l’altra è quella ultra-cattolica e conservatrice che lo vede come l’offesa massima contro Dio e/o contro la vita. La prima vede la gravidanza come un ostacolo da evitare, un imprevisto, un incidente di percorso, di cui ci si può liberare come ci si libera di un raffreddore con la Tachipirina. La seconda posizione invece riduce la gravidanza indesiderata a una pena da scontare, a qualcosa da subire “per proteggere il feto”, una condizione da accettare volenti o nolenti. Entrambe le visioni però finiscono per sminuire e ridicolizzare il significato e l’importanza profondi della gravidanza, e ancora di più quello già minato e stravolto della maternità.

Ed è proprio questo il punto che viene totalmente ignorato: le gravidanze indesiderate, la condizione di maternità imposta. Una problematica indubbiamente presente da sempre ma facilmente risolvibile coi mezzi di oggi, fra la possibilità di precauzione e il monitoraggio delle diverse fasi della gestazione: perché parlare di una maternità promossa e garantita da uno Stato sociale significa parlare sia di prevenzione prima sia di sostegno (medico, economico, sociale) poi.

Le gravidanze indesiderate dovrebbero essere la vera questione centrale, ma in questo sistema di sterile conflitto di opinioni valori di fondamentale importanza, come la salute delle madri e la base concreta per la formazione di una famiglia, vengono ridotte a una litigata di piazza sui social. Il tutto poi verte esclusivamente sull’aborto, che viene promosso come il metodo risolutivo delle gravidanze indesiderate, quando in realtà le elimina senza risolvere nulla. Essenzialmente, si pensa a come liberarsi di un problema senza prima prevenirlo.

Quindi perde ogni senso logico la domanda: “Sei pro o contro all’aborto?” L’aborto è un’operazione chirurgica, niente più. Rimangono solo le circostanze in cui è giusto e legittimo fare questa scelta, dove la “giustizia” viene dettata non dall’opinione personale soltanto di chi detiene l’utero (che comunque richiede un certo contributo perché si arrivi alla gravidanza, ricordiamolo) ma da quel confine che permette all’uomo di ricorrere alla scienza senza esserne succube.

Un argomento spinoso da affrontare a riguardo è il sistema di contraccettivi in Italia, schernito, semisconosciuto, lontano anni luce rispetto alla reperibilità di questi negli altri Paesi europei e alla possibilità di scelta. Abbiamo visto quanto sia tenuta in considerazione la sanità nel nostro paese, dopo anni e anni di tagli di fondi pubblici seguiti da un improvviso interesse di pura facciata causa Covid. L’ambito della contraccezione rientra in questa situazione disastrosa: non stupisce che soprattutto i giovani (che più hanno necessità di ricorrere a questi metodi) ne rimangano diffidenti, insofferenti e disinteressati. Complice una burocrazia confusionaria e pesante che rende impossibile una risposta tempestiva in caso di consulenze di emergenza, che possono davvero fare la differenza nel caso di rischio di gravidanza.

Un altro aspetto che non si considera è la componente psicologica che precede e soprattutto segue una scelta tutt’altro che facile come l’aborto. Quell'”ammasso di cellule” che tanto scherniscono le femministe non piange, non sanguina, non si lamenta, non lo si vede soffrire né morire: eppure c’è, vive, e non è di certo la soglia del dolore a determinare se un essere vivente è più o meno meritevole di continuare a vivere. La connessione fra madre e feto è unica e speciale in natura, inspiegabile e meravigliosa, andare contro ad essa porta a conseguenze non da poco sul piano mentale. Una donna che riconosce l’importanza dell’essere madre non solo non correrà il rischio di diventarlo “per sbaglio”, ma sarà anche libera di scegliere quando esserlo consapevole del suo ruolo innato di genitrice.

A questo si aggiungono infine politiche tutt’altro che a sostegno della maternità, che costringono la donna a scegliere fra famiglia e lavoro, due binari separati che le impediscono ogni realizzazione sia come madre sia come cittadina lavoratrice. Al sistema consumista a sostegno del capitale servono addetti per garantire una produzione continua e incessante: tutelare le madri lavoratrici è controproducente, quindi facciamo credere alle donne che rimanere a casa per badare ai figli sia da suddite bigotte, e che preferire la carriera alla famiglia sia da donne libere ed emancipate. In questa folle visione del mondo moderno una donna che interrompe la gravidanza perché non ha voglia di prendersi cura del suo bambino ha lo stesso diritto all’aborto di una donna che ha cercato un figlio a cui però deve rinunciare perché, per esempio, la gestazione comporta un alto rischio per la sua salute o per quella del feto.

È quindi sempre la maternità che paga. In uno Stato dove la natalità è ai minimi storici, dove le politiche sociali a sostegno delle famiglie sono pari allo zero, dove fare un figlio è diventato un lusso, è fuori da ogni realtà “protestare” a favore dell’aborto che in Italia è perfettamente legale ed effettuabile. Il culto dell’aborto e della donna “libera” (dalla famiglia) ha ridotto la gravidanza a un evento più o meno atteso che deve presentarsi al momento meno dannoso. Ribadire l’importanza dell’essere madri è la base per riconoscere la vera importanza dell’aborto, dandogli la dignità che merita.