Di Elena

Gulag. Tutti abbiamo un’idea di cosa siano, seppur poco chiara e forse non adeguatamente atroce.

Senza indugiare in descrizioni sui fatti o luoghi che hanno distrutto la vita di milioni di persone, ricordiamo solo il nome di una delle vittime della barbarie sovietica: Aleksandr Solženicyn.

Scorgendo la biografia di questo personaggio, la prima cosa che salta all’occhio è che si può descrivere in mille modi ma non come vittima. Dissidente antimodernista è una descrizione più calzante e per questo nemico del regime. Non ha potuto fare a meno di pungere con la punta della sua penna il palloncino che era secondo lui il regime sovietico e questo gli è costato censura, arresto, internamento e espulsione dall’URSS fino al 1994 anno in cui è tornato per poter morire a casa sua.

Solženicyn è reso celebre dal testo “Arcipelago Gulag”, un mattone di oltre mille pagine in cui racconta di come avvenivano gli arresti da parte dei sovietici: di notte in silenzio o di nascosto in mezzo alla folla, e della vita nei Gulag. Ma la meraviglia filosofica di questo autore non muore con le descrizioni storiche e le ricostruzioni psicologiche presenti in questo volume.

Egli è uno dei pensatori di etnia russa che maggiormente si è concentrato nel discernimento tra Russia, Occidente e Comunismo.

Se per la maggior parte degli storiografi occidentali la Russia sovietica è una naturale prosecuzione della storia dell’impero zarista, iniziata con l’europeizzazione di Pietro il Grande, per il nostro autore, il Comunismo non appartiene alla sua terra perché non può appartenere a nessun popolo. Il comunismo è internazionalismo e come tale non può legarsi né a una terra né a nessun animo umano. Esso può fluttuare di paese in paese senza per questo ancorarsi a nulla, come qualsiasi forma di utopia che appartiene a tutti e contemporaneamente a nessuno.

La Russia e il bolscevismo non possono camminare di pari passo perché la Russia una cultura ce l’ha così come una forma radicata di spiritualità che si manifesta in mille modi diversi e non solo nella forma più popolare quindi quella cristiana ortodossa. La Russia è cultura, è filosofia. È il paese di Pushkin, di Tolstoj, di Dostoevskij, di Gogol, di Stravinskij, di Pasternak, di Chekhov, di Bulgakov, di Gurdjieff, del barone nero, delle società di teosofia. Non può essere ridotta all’ateismo di stato e al livellamento verso il basso tipico dell’approccio sovietico.

Nel periodo pre-rivoluzionario, seppur con gli acciacchi evidenti che mostrava la famiglia regnante, né la censura né la qualità della vita del popolo era così al limite con la sopravvivenza come dopo la rivoluzione d’ottobre.

Di questo gli occidentali non possono parlare perché non sanno e male interpretano perché o superficiali o in cattiva fede come si sono dimostrati gli alleati durante la seconda guerra mondiale, nascondendo le atrocità compiute ai danni del popolo tedesco di cui lui è stato testimone. Anche per questo si schiera a sfavore della guerra Vietnam, gli americani infatti non sono in grado capire cosa voglia dire pacifismo. Esportano violenza e pensiero unico tramite la NATO, organo aspramente criticato per la sua inadeguatezza e insensatezza.

Seppur l’Occidente ha dapprima sostenuto il suo impegno anticomunista; resosi conto della sua aspra critica ai modelli occidentali lo ha messo a tacere, relegandolo ad autore antisovietico. Parlare dell’agnosticismo e dell’ateismo come disastro perché hanno portato a spogliare la cultura di ponente dal proprio mantello spirituale in favore di un materialismo tecnicistico e impersonale, non è piaciuto alla parte ovest del mondo, troppe similitudini con la politica dei nemici dell’URSS.

Solženicyn è un autore tristemente troppo poco conosciuto in Occidente. Le sue visioni sul nostro mondo, da esterno, ci regalano un affresco di ciò che siamo diventati e le basi per ricostruire il nostro futuro contro il modernismo piatto e bieco dei dittatori democratici.