Il disastro di Ischia del 26 novembre ha profondamente colpito l’opinione pubblica italiana, e la notizia ha scosso la cronaca dagli sconti del Black Friday e dagli allestimenti in vista del Natale. Una notizia che, dolorosamente, ci ricorda un dato di fatto a cui vengono periodicamente concesse attenzioni di circostanza, false promesse utili a mantenere le percentuali di voto, buoni propositi e nulla più.

L’Italia è notoriamente un paese soggetto a rischi geologici, in particolare sismici e idrogeologici; senza contare il recente fenomeno della cosiddetta “tropicalizzazione” del nostro territorio, con il presentarsi stagionalmente della siccità prima e dei violenti fenomeni atmosferici poi. Una vulnerabilità ai disastri naturali documentata da secoli e monitorata da decenni; che, però, sembra rimanere inalterata nel tempo. 

Quella che può essere affrontata come una nostra problematica territoriale è diventata infatti un triste primato, che ha portato l’EEA (European Environment Agency) a collocare l’Italia al secondo posto fra gli Stati europei che hanno subìto le più alte perdite di vite umane legate ai disastri naturali. Fra il 1980 e il 2020, infatti, l’Italia conta 21 mila morti a causa delle calamità naturali, superata solo dalla Francia con i suoi 23 mila. Sempre nel decennio fra il 1980 e il 1990, il calcolo dei danni ammontava a circa 10 miliardi di euro annui, aumentati a 14,7 miliardi annui nel periodo fra il 2011 e il 2020 (fonti del CATDAT). 

Nel caso specifico dell’Italia è doveroso parlare inoltre di salvaguardia del nostro patrimonio storico e artistico, unico al mondo e particolarmente a rischio per via della diversità delle numerose epoche storiche che vi hanno contribuito. Secondo una stima dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono circa 34.000 i nostri beni culturali a rischio, ovvero il 18% di tutto il patrimonio nazionale; di questi, 13 patrimoni dell’Unesco potrebbero subire danni irreparabili da erosioni e alluvioni, rispettivamente in previsione di aumento del 13% e del 50% entro la fine del secolo. 

Fra i disastri ambientali sono proprio le calamità idrogeologiche a colpire maggiormente l’Italia. Inondazioni, smottamenti del terreno, frane e anche erosioni costiere interessano la praticamente totalità del territorio nazionale, ben il 94% del totale secondo ISPRA e Protezione Civile. I numeri sono altissimi: le famiglie a rischio per le frane sono 548 mila, e quelle a rischio per inondazioni più di 2,9 milioni.  

Eventi a cui seguono subito dopo i terremoti. Come ben si sa, l’Italia è un paese a rischio sismico, per la frequenza e per l’intensità delle scosse che interessano il suo territorio nazionale, di cui il 44% è stato dichiarato a rischio elevato. Gli episodi sismici si ripetono regolarmente sul suolo italiano, e chi più chi meno ne abbiamo tutti familiarità. I dati raccolti dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia) registrano 16.095 scosse solo nel 2021, includendo qualche numero nelle zone limitrofe, per una media di circa 44 terremoti al giorno. Insomma, l’Italia ha un’indubbia interdipendenza (purtroppo) dai fenomeni sismici, e non solo. 

A cosa ha portato, infine, questa comprovata familiarità con i rischi geologici? Quanto è responsabile di tutti questi danni la sola predisposizione territoriale ai danni ambientali? Lo è in buona parte, ma non completamente. Appurato questo si prendono le distanze, chiaramente, dai paladini green che addossano tutta la colpa al cambiamento climatico, o meglio, agli insensibili industriali capitalisti, che il pianeta ricambia puntualmente con disastri ambientali e tributi di vite. L’imprevedibilità e la casualità dei disastri naturali sono fuori discussione, ma la risposta dell’uomo a questi eventi, se non può impedire che si verifichino, può di certo cercare di limitare i danni. 

Una risposta che in Italia non è mai mancata da parte dell’intervento civile, che da sempre si muove nelle strade sommerse dal fango o nei cortili pieni di macerie… e nulla più. Perché in realtà i progetti, le proposte, i piani non mancano; semplicemente, sono stati avviati malvolentieri e mai portati a termine, finanziati il minimo indispensabile dallo Stato e saltuariamente, menzionati all’occorrenza dopo l’ennesima tragedia. Uno di questi è il Progetto Carg, in programma dagli anni Ottanta, che prevede la stesura della carta geologica dell’Italia, cioè un piano con l’analisi geologica di tutto il territorio nazionale. Ad oggi è stato completato solo il 45% del progetto e, nonostante i disastri naturali degli ultimi decenni e la recente sollecitazione dopo i fatti di Ischia, l’ISPRA dichiara che il suo completamento non avverrà in tempi brevi, a causa della mancanza di fondi da parte dello Stato. 

Un altro provvedimento mancato è il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, un progetto finanziato dal Ministero dell’Ambiente. Il Piano prevede l’analisi della pericolosità, dei danni e degli eventi catastrofici potenziali, oltre che a prevedere la capacità di adattamento delle diverse zone a rischio. In altre parole, sarebbe una lettura continua delle realtà territoriali, che, in conformità con la carta geologica di cui si è detto sopra, sarebbe in grado di garantire un piano di risposta aggiornato per i disastri ambientali e specifico per i Comuni italiani. L’ambizioso progetto è però rimasto in bozza dal 2017.

Tematica, infine, già affrontata nel PNRR, il Piano di ripresa nazionale offertoci dalla Next Generation EU. Oltre ai fondi destinati agli strascichi dell’emergenza Covid-19, i finanziamenti (in particolare 2,49 miliardi) dovevano essere destinati anche per il dissesto idrogeologico, a fronte dei 40 miliardi che erano stati calcolati in realtà per poter mettere in sicurezza il Paese. Fondi che però, come ci dicono le notizie di qualche giorno fa, mancano al Ministero dell’Ambiente, che si giustifica con un “Plafond esaurito” per cento milioni di euro previsti dall’UE. Stanziati, questi, per la realizzazione a Roma di biogestori e di impianti di selezione per la raccolta differenziata (non voluti, tra l’altro, dai cittadini di Cesano, Casal Selce e dintorni). Non di certo per la messa in sicurezza del Paese dai rischi geologici. 

E quindi? E quindi lo schema continuerà a essere lo stesso che conosciamo da anni: qualche prima pagina, testimonianze strappalacrime sui social, altre lacrime di commiserazione nelle trasmissioni televisive, magari un po’ di vittimismo di qualche natura, e dopo Capodanno chi s’è visto s’è visto. La lista delle “vittime del cambiamento climatico” (come vengono indicati gli sfollati dalle buone anime dal pollice verde) continuerà ad aggiornarsi, e dopo poche settimane gli ultimi nomi aggiunti non fanno già più notizia.

Servono ristrutturazioni e interventi edilizi per garantire infrastrutture antisismiche, pubbliche e private; analisi dei terreni previa qualsiasi azione umana diretta sui territori per scongiurare rischi di cedimenti, ed eventuali rafforzamenti; analisi delle dinamiche di erosione costiera per salvaguardare i siti balneari… interventi che quasi non servirebbe nemmeno ricordare, e che possono risparmiare politiche di “riparazione” a danno fatto, politiche tra l’altro fragili e inconcludenti.

Ecologia ha assunto il significato di fare la raccolta differenziata, non lavarsi troppo spesso per non sprecare acqua, scegliere il trasporto pubblico perché più sostenibile, e così via. Se però ecologia indica letteralmente l’analisi delle relazioni fra l’ambiente e l’uomo, è inammissibile non parlare di messa in sicurezza del territorio. Avremo anche bidoni di diversi colori per la carta e la plastica in pieno centro, ma saranno immersi sotto metri cubi di fango, o sepolti sotto tonnellate di macerie.