Di Blocco Studentesco
L’antifascismo ama definirsi come baluardo contro ogni forma di totalitarismo. Ma nel concreto, ciò che finisce sotto l’etichetta di “totalitarismo” è molto più ampio: ogni legame sociale, culturale o nazionale che implichi appartenenza, autorità o identità è visto con sospetto. Il risultato è un’antropologia radicale che concepisce la libertà solo come disgregazione di ogni vincolo.
Nel tempo, questa visione ha dato vita non tanto a un movimento, ma a una mafia ideologica: un sistema informale e trasversale di potere che esercita un controllo capillare del pensiero, operando sia nei circuiti istituzionali sia in quelli extra-parlamentari.
1. Perché è mafia
L’antifascismo contemporaneo funziona come un sistema chiuso. Non si limita a criticare idee o posizioni, ma demonizza e marginalizza chiunque non si adegui. Il marchio di “fascista” è usato come arma di distruzione sociale, prescindendo da ogni reale analisi politica. Questo produce due effetti:
– Uno attivo, dove chi subisce l’etichetta viene escluso dalla sfera pubblica e reso oggetto di ostracismo.
– Uno passivo, dove chi osserva, tende a riconoscersi in altri esclusi, creando circoli di vittimismo o estremismo opposto
Questo meccanismo binario — “noi buoni / voi cattivi” — non solo semplifica brutalmente la realtà, ma produce uno spettro autoritario mascherato da resistenza democratica.
2. I meccanismi del sistema
“Pensala come vuoi, ma pensala come noi”
Il primo strumento è il controllo semantico. Le parole diventano gabbie: chi critica l’immigrazione è “razzista”, chi valorizza la famiglia è “omofobo”, chi parla di identità nazionale è “fascista”.
Il pensiero unico si costruisce così: attraverso etichette che anticipano ogni discussione e ne annullano il contenuto.
Controllo della narrazione: Egemonia, violenza, boicottaggi
L’antifascismo è anche controllo culturale. Cinema, scuola, università, stampa e social media — ogni luogo in cui si forma l’opinione pubblica è spesso presidiato da una narrativa unica. Chi dissente, oltre alla censura mediatica, subisce:
– Boicottaggi pubblici
– Minacce o aggressioni
– Esclusione da circuiti professionali o istituzionali
Una mentalità mafiosa, non (sempre) un crimine
Come diceva Giovanni Falcone: “Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.”
Questo vale anche per l’antifascismo moderno. Il problema non è sempre nella violenza fisica — spesso assente — ma nella mentalità con cui si esercita il potere culturale, sociale e mediatico.
Per contrastarlo, non servono repressioni di polizia, ma un’opera di contro-narrazione: culturale, politica, legale e mediatica. Serve cioè una battaglia a parità di strumenti, sul piano delle idee e della libertà di espressione.
3. Dal ’43 a braccetto con le élite mondiali
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, l’antifascismo non ha mai rappresentato una vera opposizione al potere. Al contrario, si è fuso con le dinamiche del potere globale: dalle élite anglo-americane alle istituzioni sovranazionali, dalle fondazioni filantropiche ai centri culturali occidentali.
L’antifascismo, per quanto “rivoluzionario” si dichiari, è oggi uno strumento del sistema.
C’è un aspetto particolarmente inquietante. L’antifascismo, pur proclamandosi nemico dell’oppressione e della globalizzazione neoliberale, finisce per esserne il migliore alleato. Perché?
Perché ne condivide e non ostacola gli stessi fini:
– Distruzione delle identità nazionali
– Cancellazione delle tradizioni
– Disgregazione dei legami comunitari
– Sostegno a una mobilità senza confini, funzionale solo al capitale
Yalta 1945 non è solo la fine dei fascismi europei, ma anche l’inizio di una nuova egemonia culturale che da allora ha impedito ogni reale alternativa.
E l’antifascismo, oggi, è uno degli strumenti più efficaci per silenziare chi si oppone.
Blocco Studentesco
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