Accade che un ragazzo chiede al suo professore cosa sono le Foibe. Accade che, malauguratamente, non può rispondere alla domanda del suo alunno perché non sa nemmeno lui cosa siano queste stramaledette Foibe. Queste Foibe che ogni dieci febbraio tornano a bussare alla porta del dibattito pubblico come fossero un ospite scomodo, indesiderato, di cui ci si deve sbarazzare velocemente e al più presto. Finisce che il ragazzo non ottiene risposta, il prof. cerca su wikipedia. È l’imbarazzante paradosso che l’Italia vive ancora oggi, dopo più di settant’anni, in merito alla pulizia etnica che i partigiani titini hanno messo in atto nei territori occupati sul finire dell’ultima guerra mondiale.

Accade nelle Marche che un professore venga sospeso “su ordine” dell’ANPI, non per pericolose attività sovversive, ma semplicemente perché si è permesso di opporsi ad un convegno dentro scuola di quell’”istituzione morale” che in quanto tale non vuole contraddittorio e a cui non piace che gli venga fatto presente. Sospensione dell’insegnamento per trenta giorni, stipendio decurtato del cinquanta percento, per aver detto che va “garantita sempre libertà d’opinione, nell’ambito delle regole democratiche”. Accade lo stesso nella Biblioteca del Senato della Repubblica: convegno ANPI, nessun contraddittorio, solita ramanzina sui crimini fascisti e leccata di culo ai compagni Jugoslavi e al caro Tito. Non sia mai che qualcuno voglia offendere il “Cavalier di gran croce decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana”. Da vomito.

Viviamo in una Repubblica dove convivono la data istituzionale del 10 febbraio e la medaglia di pongo del maresciallo Tito. Una realtà schizofrenica che non lascia scampo nella spirale di contraddizioni che si porta dietro: le aggressioni ai treni degli esuli Giuliani, le lacrime di Pertini sulla bara del boia, uccidere un fascista non è reato, la memoria è un dovere, la commissione anti-violenza e il Partito Comunista di Rizzo che togliendosi le vesti dei no-global a tempo perso che combattono quel capitalismo che loro stessi hanno contribuito a far vincere, non perde l’occasione per difendere i Titini e per ricordarci, come nella scena di un noto film di Carlo Verdone, che “io so’ commmunista così!”. Mario Brega era un attore, loro no. Il primo ed ultimo comunista si chiamava Nicola, è morto a Piazzale Loreto con la camicia nera. Il resto è antifascismo.

Se questa deve essere la memoria istituzionale, solo di facciata ed intimamente ipocrita, noi non la vogliamo, perché è anche peggiore della “sincera” infamia del PCI. Abolite la memoria obbligatoria, decidano gli Italiani chi ricordare, senza l’imposizione morale dei tribunali della verità. Togliete ai poveri professori l’impaccio di dover spiegare la storia ai propri alunni, tanto non sembra lo facciano molto bene nemmeno per il resto. Togliete ai sindaci l’affannoso onere di intitolare giardini che tanto lasceranno marcire. Togliete ai fascisti questa fastidiosa arma di propaganda, ci penserà Vauro a far lezione. Ma noi sappiamo benissimo quale sarebbe la scelta degli italiani, data la quantità di manifestazioni che da Nord a Sud hanno ricordato i martiri delle Foibe con solenne e silenzioso rispetto. Ma sappiamo anche benissimo che le opinioni (quelle degli altri), non contano nulla. L’importante è che ci sia l’antifascismo. L’importante è che ci siano i soldi per l’ANPI nel prossimo bilancio di governo. Se ti dichiari antifascista puoi fare tutto, dall’usuraio all’assassino. La storia ce l’ha insegnato.