Di Alberto

Gli Accordi di Abramo sono la conseguenza della continua distensione dei rapporti fra alcuni paesi arabi e lo stato ebraico. Il vero promotore di questi accordi sono stati gli Stati Uniti di Trump nella figura del suo consigliere e genero Jared Kushner. I primi a fare un passo avanti nei rapporti con israele sono stati gli Emirati Arabi Uniti: il 12 agosto, infatti, Abu Dhabi ha annunciato di voler normalizzare i propri rapporti con lo stato ebraico, seguito dal piccolo emirato del Bahrein.

La portata dell’evento è storica dato che non si avevano evoluzioni nei rapporti fra israeliani e arabi dagli Accordi di Oslo del 1993 che sancirono la nascita dell’ANP (autorità nazionale palestinese). Se per le petromonarchie del golfo, gli Stati Uniti e israele questi accordi hanno un grande peso strategico e diplomatico per i palestinesi sono l’ennesimo schiaffo alla loro causa: dopo l’annuncio dai territori di Gaza (governata da Hamas) sono partiti dei razzi e nella Cisgiordania (governata dall’ANP) sono scoppiate violente proteste verso le forze di sicurezza israeliane che occupano illegalmente i territori palestinesi.

Questi accordi rappresentano sicuramente il più grande successo nella politica estera di Donald Trump ma non vanno letti solamente come la normalizzazione dei rapporti fra israele ed Emirati e Bahrein: la volontà americana è chiara, ossia formare un blocco anti-iraniano e a latere anti-turco (che ha nell’emirato del Qatar il suo principale alleato).

La necessità di statunitensi e israeliani di isolare l’Iran li ha portati a spingere sulla rivalità fra il paese degli Ayatollah e le petromonarchie sunnite, con in testa l’Arabia Saudita che negli ultimi anni si è avvicinata sempre di più a israele per contenere il suo avversario regionale.

Il 22 novembre si è tenuto in Arabia Saudita un incontro fra Benjamin Netanyahu (primo ministro israeliano), Yossi Cohen (capo del Mossad), Mike Pompeo e Mohammad Bin Salman (principe ereditario saudita) per discutere di un eventuale aiuto sottotraccia saudita per spingere gli altri paesi arabi ad unirsi agli Accordi di Abramo (si parla del Sudan prossimo a riconosce lo stato ebraico), segno della sempre più stretta collaborazione fra gli attori statuali del medioriente un tempo nemici giurati.

Se questo riallineamento diplomatico e geopolitico nel breve termine è sicuramente in funzione anti-Iran nel medio e lungo termine c’è anche la volontà, soprattutto statunitense, di limitare le mire egemoniche della Cina che guarda sempre più alla regione nell’ottica della Nuova via della seta. Il progressivo disimpegno americano dai teatri afghano e iracheno potrebbe portare il gigante asiatico a riempire questo vuoto come sta facendo nelle ex repubbliche sovietiche dell’asia centrale, inoltre, il medioriente è la porta di accesso per il mediterraneo e per il continente africano in cui la Cina sta investendo miliardi e sta espandendo la propria influenza a macchia d’olio (ha anche una base nella strategica Gibuti).

Questi accordi porteranno ad un ridisegnamento delle alleanze nella regione e ad un cambiamento degli assetti geopolitici che eravamo abituati a vedere.