Di Sergio

Provocazione? Forse sì o forse no.

Ciò che è chiaro e sotto gli occhi di tutti, però, è che la nostra cultura è sotto attacco, in continuo restyling, in perenne discesa verso un accomodante e tiepido nulla. C’è bisogno di rinfrescare: è chiaro a chi opera perché l’intero immaginario occidentale venga derazzificato ma anche scurito, desessualizzato; è chiaro a chi si rende conto della debolezza di quell’immaginario di fronte al fanatismo del dogma egualitario.

Rinfreschiamo dunque, ma partiamo da una semplice domanda: è la cultura che dobbiamo difendere? Quale cultura? Quella occidentale figlia del consumismo? O quella figlia del bigottismo borghese che scambia un museo delle cere per la tradizione, quella del “potremmo vivere di solo turismo”, quella per cui l’orgoglio di sentirsi italiani si ferma all’odio per la pizza con l’ananas? Tante domande ma il nocciolo, in realtà, è uno: questa cultura non merita di essere salvata e crollerà di fronte al fondamentalismo.

Ieri Omero abolito in una scuola americana, oggi Peter Pan all’indice della Disney, domani chi lo sa cosa sarà vietato… forse un foglio di carta bianco. Il punto però non sono Omero o Peter Pan, ma il credere che Omero e Peter Pan siano per tutti e per forza, ovvero proprio la credenza causa dei problemi che ci ha portati qui. Mi spiego.

Se tutti hanno Omero, chi ha Omero? Di chi è veramente l’Iliade quando questa viene schiaffata in ogni antologia, di ogni scuola, di ogni grado del globo? Il problema ovviamente non è l’Iliade nelle scuole, noi siamo esseri civili, ma come questa viene trattata, o meglio, a chi è stata affidata.

Non ci dobbiamo meravigliare se Virgilio e l’Eneide sono usati per giustificare le migrazioni, non ci dobbiamo meravigliare quando Eschilo viene bandito dalla Sorbona di Parigi, non dobbiamo piangere quando troviamo un negro a interpretare il pelide Achille. Perché? Perché tutto ciò è frutto di un secolo di cultura, di amore per la cultura, di cultura generale, di cultura culturosa, di professori in gita scolastica e musei smart per i turisti cinesi e russi. L’elogio della cultura: sconfinato autocompiacimento di liceali che tronfi delle loro antologie hanno insegnato ad altri liceali la cultura per sofismi, per compartimenti stagni, per nozioni buone a superare la verifica scritta dell’esame di maturità.

Una cultura che ha rinchiuso la bellezza nei musei per farne oggetto di lucro e ha rinchiuso la conoscenza nelle aule universitarie, dove esimi dottori spiegano Petrarca e poi ti fanno comprare la loro monografia senza la quale non puoi superare l’esame. È questa la cultura? A morte, merita di scomparire e di contribuire sé medesima alla sua scomparsa.

“Mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura…” cantava Battiato in Up Patriots to Arms. Mandiamoli a casa questi epigoni della cultura per tutti e per forza, questi spiegoni liceali che hanno studiato la materia per professione e non per sentimento. Solo una persona senza passione, senza visione o sentimento può affermare seriamente che Enea era un profugo, Leopardi un depresso e Pascoli un mammone. Come può una persona, che non ha mai vissuto al di fuori delle campane di vetro universitarie, capire l’intima bellezza di una tragedia di Shakespeare o di Eschilo?

Insomma, la cancel culture è solo l’altra faccia della medaglia della culture: tutte e due allontanano dal reale la bellezza, per metterla sotto una campana di vetro. La prima per rinchiuderla ed appiattirla quando non vuole proprio eliminarla, la seconda per conservarla come un cimelio. E se fosse la cultura la prima nemica della cultura? Se fossero i musei i nemici della bellezza? Non fraintendete, non siamo l’Isis… però occorre ripensare il modo in cui viviamo la bellezza che ci circonda se vogliamo vivere, invece di sopravvivere alla cancellazione. Non possiamo farci scudo delle statue contro movimenti iconoclasti, sarebbe come difendersi da un pugno con la faccia.

Non possiamo affidare ai libri e a Peter Pan tutta la nostra esistenza di civiltà: è ciò che sta nei libri che occorre. “La Tradizione non è la colonna che resiste, ma l’aura che promana” scrive Marcello Veneziani ne La nostalgia degli Dei, e forse proprio qui sta il punto provocatorio ed evocatorio: chiudiamo i musei per liberare la bellezza, l’arte, il sapere, da quell’usura che Pound denunciava nei Cantos, aboliamo la cultura generale, le antologie, le esposizioni letterarie e i festival dell’editoria che fanno mercato della parola scritta.

Non più vendere a tutti i costi, ma cercare a tutti i costi: cercare per passione, scavare per necessità, ritrovare per capriccio. La cancel culture la sconfiggeremo quando capiremo che il migliore dei libri ci racconta ciò che già sappiamo, ci aiuta solo a capirlo meglio. Non si può parlare di cultura, ma si deve fare cultura. Altrimenti è solo un feticcio: buono per tutti, buono per nessuno.