Di Alessia

Accade oggi, che l’occidente abbracci la questione in Ucraina spinto da un’irrefrenabile ingiustizia collettiva mai vista prima. Nel marasma che travolge l’Europa accade anche, che nel vicino Oriente, ci sia un popolo segregato tra le cinta di un muro di 730 km che patisce un lento, silente e sistematico eccidio che perdura ormai da più di 70 anni.

Più che mai, nel silenzio generale, il regime di apartheid imposto da Israele si fa costantemente più tirannico. Un’occupazione sempre graduale, per far sì che il corso degli eventi possa più facilmente rimanere confinato dietro quegli 8 metri di cemento che isolano nell’oblio 2 milioni di persone.

L’occupazione israeliana assalta le città, barrica i villaggi per impedire il passaggio degli studenti minacciati con gas lacrimogeni; invade senza ritegno i luoghi sacri, sequestra e detiene i giovani, i disabili, i reporter, aggredisce i paramedici e i bambini.

Solo il 28 febbraio si contano 37 feriti e 20 arresti, tra cui appunto sono contati dei bambini. Munawar Burqa ha 12 anni e ha una disabilità sensoriale, quel giorno è stata colpita volontariamente con una granata, provocandole una frattura alla mandibola, un bambino di soli 6 mesi, lo stesso giorno, è rimasto ferito da una scheggia di granata.

Senza mandati i soldati israeliani invadono le case nel cuore della notte per perquisire, seminando il terrore; costringono a demolire le abitazioni, destando uno smisurato rancore in chi vede la propria casa invasa e cancellata.

Imbrattano e manomettono le auto, demoliscono le strutture agricole e sradicano gli ulivi dal suolo, come a voler estirpare con loro anche ogni speranza rimasta.

Hanno il grilletto facile i coloni israeliani, con solo la codardia negli occhi sparano contro chiunque gli capiti a tiro. In realtà hanno paura, non hanno il coraggio di chi a 15 anni affronta un’arma puntata al volto consapevole della propria sorte.

Da febbraio ad oggi sono circa 15 i morti per mano israeliana, sono in realtà difficili da poter quantificare, questa è anche la sorte di chi muore nell’ombra, ciò che però risulta certa, è l’età che hanno: 14, 16, 17, 22 anni.

Sfilano i loro corpi sopra le teste di chi li accompagna verso l’ultimo viaggio, coperti come fossero bachi da seta dalla bandiera per cui hanno donato la vita. Solo durante i funerali, i rumori delle granate e delle armi cessano per lasciare il posto ai pianti delle madri.

Sopprimono la Resistenza, in Palestina, la gioventù, chi porta con sé l’impeto della rivolta e ripudia la resa preferendo morire con una Kefiah al collo e una fionda tra le mani a costo di scagliare il proprio doloroso risentimento, tenace e perseverante, contro gli schiavi di uno stato genocida. Lo stesso risentimento che già scorre nel sangue dei bambini che crescono a Gaza nel vedere la propria gente che muore come mosche.

È un supplizio conoscere la verità che si cela dietro il muro di Gaza, e forse lo è maggiormente adesso, sempre più consapevoli che per l’opinione pubblica i morti siano divisi in gerarchie.

Mentre porta avanti la sua opera di distruzione, il signor Netanyahu sostiene che occorre ogni sforzo possibile per fermare la tragedia in Ucraina.

Anche Herzl tentò ogni sforzo possibile per: sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e di nascosto…” (Herzl, Theodor, «The complete diaries» N.Y. Herzl Press, 1969 vol. I, p. 88).

Netanyahu sta riuscendo nel suo intento, accogliendo i cittadini ucraini… ammesso solo che appartengano a famiglie ebree.