di Jen.

Caterina da Siena, dalla letteratura definita “mistica trasgressiva”, è un personaggio femminile che, seppur detiene il ruolo di patrona d’ Italia e compatrona d’Europa, non desta particolare simpatia agli studiosi. Molto spesso, infatti, nel presentare il personaggio, si fa accenno a come la Santa fosse testarda e che usasse la tattica del ricatto nei confronti dei suoi familiari. Non si può certamente negare, però, la sua importanza sottolineata dall’enorme florilegio dei suoi scritti.

 Gli scritti di Caterina da Siena possono essere divisi in due gruppi principali: le lettere e “Il Dialogo”. Le lettere, scritte in lingua volgare, sono la più cospicua raccolta epistolare femminile. In questi testi Caterina rompe fortemente con la precedente tradizione mistica fondata sull’umiltà, la piccolezza femminile, e la metafora dei vasi vuoti da riempire e dimostra una grande personalità nel dichiararsi profetessa inviata da Dio che le ha affidato un messaggio per la cristianità. L’unica donna del suo tempo a cui si può accomunare è Brigida di Svezia ma negli scritti della santa senese manca quel tono apocalittico e quel vocabolario allegorico che viene sostituito con una lingua della familiarità.
Alcuni studiosi si sono occupati di indagare circa l’organicità del corpus di lettere di Santa Caterina focalizzandosi sulle “strategie del chiedere” ovvero sul cercare di dare un’interpretazione alle scelte lessicali alla luce dell’intenzione comunicativa della Santa. 

Analizzando le lettere si può sicuramente notare che in ognuna di esse è presente l’esortazione o anche l’ordine a tenere un determinato comportamento o a compiere una determinata azione. La richiesta di Caterina, quando non viene rivolta direttamente all’imperativo, viene ingiunta con i due verbi volere e pregare. Questi, non sono usati in modo indifferente ma seguono una logica:

  • il verbo voglio viene detto a chiunque indifferentemente per esprimere la volontà di imporre un comportamento morale o di spingere all’osservanza di regole religiose perché un comportamento retto e devoto è un dovere verso Dio;
  • Il verbo prego viene usato per indurre a compiere una qualsiasi azione che favorisca un determinato progetto politico che, pur provenendo dal volere divino, parte da un’iniziativa della santa che deve scegliere le strategie giuste per non ottenere un rifiuto. Esempi di epistole in cui usa il verbo pregare sono quella a Gregorio Magno dove se prima usa volere per un’imposizione morale poi usa pregare per convincerlo ad intervenire nelle città di Lucca e Pisa fornendo ciò di cui hanno bisogno e convincendole a non aderire alla lega antipapale. 

Ciò che Caterina chiede è sempre ben focalizzato. I modi dell’oratoria attraversano tutte le lettere ma possono anch’essi adeguarsi ai diversi ruoli che vuole assumere nei confronti due propri interlocutori. Quando non si rivolge a persone di alto rango i suoi toni si fanno più invadenti in misura proporzionale al crescere dell’intento didascalico. Spesso procede con similitudini, false interrogative e simulazioni di dialogo in cui non ha un interlocutore determinato ma si rivolge ad un generico tu. Questa è una strategia retorica che prevede il passaggio ad un interlocutorio più ampio. Un esempio è la lettera a Suor Bartolomea dove dal voi passa al tu nel momento in cui sta dando ordine di seguire una vita retta. 

Dall’analisi delle lettere si può evincere con chiarezza che Caterina fosse ben consapevole del suo ruolo nella politica ecclesiastica, forse anche un po’ sopravvalutandosi, ma con la lucidità estrema di richiamare sempre all’ordine le pedine dello scacchiere europeo del 300.