Di Chiara

Neanche le opere di Roald Dahl, celebre scrittore britannico, sono esenti dalla revisione linguistica dettata dal politicamente corretto.

Dopo 007 e Biancaneve, anche “La fabbrica di cioccolato” è stata colpita dalla scure del pensiero unico, con lo scopo di 

di eliminare tutti quei termini e quelle espressioni considerate “non inclusive”.
È il caso di parole come “grasso”, “brutto” e “nano”: gli “Umpa Lumpa”, celebri per la loro statura, prima definiti come “piccoli uomini”, sono diventate “piccole persone”, in nome della parità di genere e del body-positive.
In altri libri, come il romanzo “Le streghe” sono state modificate intere frasi poiché considerate sessiste. 

Nemmeno la vita dell’autore stesso si è salvata dal revisionismo e dal giudizio sterile di una commissione guidata da una “ragazza” definitasi anarchica, non binaria, asessuata e poliamorosa, a causa delle sue idee politiche considerate antisemite ed anti-israeliane.

Alla base di ciò vi è una tendenza derivante da un errore di valutazione, che ritiene possibile e lecito valutare con gli occhi di oggi opere di Dante Alighieri e Shakespeare. È la massima espressione di una scarsissima consapevolezza culturale e di una crescente ignoranza, che di questo passo potrà difficilmente essere debellata o quantomeno affievolita.

Si dimostra un fenomeno sempre più pericoloso, volto ad imporre degli standard deleteri e che mette sempre più a rischio la libertà di espressione: l’ennesima forma di revisione travestita da tutela delle categorie “sensibili”. 

Di conseguenza, per evitare critiche sterili e censure, autori, registi e altri componenti del mondo dello spettacolo, si sentono in obbligo di inserire in ogni loro film o libro neri ed omosessuali, tanto da trovarli anche in opere in cui originariamente non erano nemmeno contemplati. 

Nel Regno Unito una commissione statale per la prevenzione dell’estremismo ha reso pubblica una lista in cui ha citato la lettura di alcuni dei classici della letteratura inglese (ad esempio, Shakespeare, Tolkien e Orwell) come possibili “red flag” per posizioni legate all’estremismo di destra.
Probabilmente non si sono resi conto di come un lavoro simile non sia altro che la realizzazione di ciò che George Orwell stesso aveva previsto in “1984”.

Diversi intellettuali di spicco come Salman Rushdie e Francis Fukuyama si sono espressi pubblicamente contro la “cancel culture” definendola un insieme rigido “di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto a favore del conformismo ideologico”.
Altri intellettuali, invece, relegati ad una certa ideologia, sostengono questa tendenza deleteria e hanno una forte presa sul pubblico, come nel caso di fenomeni come il Black Lives Matter e le comunità LGBT, senza la cui approvazione sembra essere diventato impossibile esprimersi. 

In conclusione, si può constatare come il revisionismo culturale non sia altro che l’ennesimo tentativo di modificare il passato in base alle tendenze e alle mode del presente, senza tener conto delle differenze culturali e sociali tra diversi periodi storici; le vere vittime sono le menti mitragliate da informazioni sempre più imputate all’omologazione del pensiero.

La cancel culture non è altro che figlia del conformismo che caratterizza la società odierna.