Di Bologna

L’influsso costante che esercitano sul nostro ambiente politico i miti e le tradizioni antiche è un aspetto storico e simbolico che sicuramente non si può negare. È un dato di fatto: certi simboli ci piacciono e piacevano a chi ci ha preceduto, sono la testimonianza di un legame trasmesso dai nostri padri a noi. Ecco perchè simboli come l’aquila imperiale, la croce celtica (o ruota solare), le rune nordiche, si trovano costantemente sui vessilli di una gioventù in lotta dal dopoguerra ad oggi, senza contare sulla pelle stessa di quei giovani sotto forma di tatuaggi.

La forte riscoperta di questa simbologia sacra e delle pratiche antiche che si legavano a determinati rituali pagani, nordici e latini in egual misura, non è stata certamente casuale. Già Mussolini e gli intellettuali Fascisti, fin dagli albori del fenomeno dello squadrismo, attuarono un processo di richiamo alla romanità e di ripristino di alcuni festeggiamenti e rituali come il Natale di Roma sulla scia di quello che era già stato in parte il fenomeno Risorgimentale. Grandi archeologi come Giacomo Boni contribuirono durante il regime a fornire un corpus contenutistico a questo processo intellettuale con importanti scoperte storiche nel cuore della stessa Roma, ad esempio quella del Lapis Niger. La stessa tendenza si riscontrò ben presto anche nella Germania del Nazional-Socialismo, con la riesumazione di simboli arcaici e sacri come le rune e le grandi spedizioni archeologiche ed esoteriche dell’Ahnenerbe.

Questo legame intrecciato col passato più arcaico della nostra civiltà non poteva essere cancellato semplicemente dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale e si è trasmesso come un lascito testamentario di generazione in generazione, giungendo fino a noi nei simboli di cui parlavamo sopra.

Ad oggi, complice anche la forte esposizione mediatica che certi periodi storici hanno ricevuto grazie a serie tv ed altri media, anche noi rischiamo talvolta di lasciarci traviare in alcune dispute di aspetto puramente concettualistico, ad esempio: siamo eredi dei grandi guerrieri nordici o dei disciplinati romani? 

Chiaramente in questo articolo intendo parlare principalmente del caso a me più vicino, ovvero quello italiano, anche se la convinzione che in fondo le conclusioni a cui arriveremo abbiano valenza universale non cesserà mai di abbandonarmi.

Anche a Sud delle Alpi si è vista fiorire negli ultimi anni una forte riscoperta della storia germanica ed i miti forgiati nelle gelide foreste dei paesi degli uomini norreni sono permeati sicuramente nel tessuto della nostra formazione culturale. In realtà questa tendenza non deriva semplicemente dalla forte vicinanza tra le due culture instaurata dal punto di vista politico durante le battaglie della seconda guerra mondiale. Il sangue dei popoli del Nord infatti è legato ai destini della nostra terra fin dai tempi remotissimi del dominio di Teodorico, re dei goti e signore dell’Italia dalla sua corte di Verona, e si è consolidato con il lungo regno dei longobardi, confederazione di popoli che affonda le sue origini nelle fredde lande della Scandinavia. I lunghi secoli di dominazione “barbara” nella nostra terra dopo il crollo dell’Impero romano hanno sicuramente plasmato la cultura, le tradizioni e le leggi oltre che il patrimonio genetico italiano. A ciò potremmo aggiungere la forte influenza culturale che ha attraversato le alpi e si è insediata in Italia con i cavalieri normanni in cerca di fortuna, o con l’esercito franco al seguito di Carlo Magno, o infine con le sanguinose spedizioni dei grandi imperatori del calibro di Federico “Barbarossa”.

D’altra parte ovviamente non manca la risposta di chi invece, se si parla di riscoperta degli antichi valori, preferirebbe che fossero quelli romani e latini che hanno plasmato la nostra penisola dalla fondazione dell’Urbe fino alla conquista di un impero immenso, destinato a cambiare per sempre i destini dell’intera umanità. Anche qui le argomentazioni sono tutt’altro che banali. Soprattutto dal Risorgimento, il culto di Roma e dei suoi antichi valori è stato un vero e proprio progetto politico, anche ai fini di arginare la mentalità cattolica ancora oggi predominante nel nostro paese. È nel solco di Roma che l’unità d’Italia ha trovato il suo agognato compimento con il sangue di migliaia di soldati sotto gli stendardi dei Savoia, ed è nel solco di Roma che il 28 Ottobre migliaia di giovani marciavano su Roma nel 1922, per ridare dignità ad una Nazione ormai soffocata dal vecchismo programmatico di una classe liberale morente. La riscoperta del mito di Roma non poteva che andare di pari passo con l’affezione verso un mondo solare, disciplinato da un’armonia cosmica che parrebbe stonare con le cupe foreste che hanno partorito le genti germaniche

Queste due interpretazioni della nostra storia sono davvero in contrasto? No! Altro non sono che due evoluzioni, due rami nati da un medesimo tronco e di conseguenza partecipi della stessa linfa vitale. Roma e il mondo nordico, l’aquila e le rune, discendono infatti dal medesimo ceppo indoeuropeo e lo stesso storico romano Tacito rivedeva nelle popolazioni germaniche le virtù sane e primigenie che la Roma del suo tempo andava ormai perdendo. Due mondi capaci di amarsi ed odiarsi senza freni come testimoniano da un lato le valorose guardie germaniche che da Giulio Cesare in poi vennero predilette dagli imperatori e dall’altro il sangue versato dalla ferocia di Teutoburgo.

Ironia della sorte, proprio dei sovrani germanici hanno ridato alla dignità imperiale il suo giusto posto in Occidente, proprio a Roma dov’era nata, partendo dall’incoronazione di Carlo Magno e giungendo forse al suo apogeo con la figura di Federico II, lo Stupor Mundi, non a caso di sangue germanico da parte di padre, e normanno e italico da parte di madre.

Questo articolo non vuole dare lezioni morali o indicazioni di fede ai giovani che giustamente si avvicinano ad un mondo mitico ed arcaico che vibra nelle loro vene potente come il pompare del cuore stesso. Entrambe le visioni che abbiamo qui visto hanno i loro pregi e la loro ragione d’essere

L’unica cosa su cui ragionare è il fatto che spesso si preferisce dissacrare la visione altrui, da una parte e dall’altra, piuttosto che cercare in essa i punti d’incontro e le radici comuni, che ancora oggi saprebbero insegnarci molto. Possiamo dire di discendere da Roma o dal Reno, ma rimaniamo comunque figli della stessa Europa.