Di Bologna

Nel corso di questa rubrica già varie volte il nostro cammino si è imbattuto negli stessi sentieri degli eroi della guerra di Troia. Eccoci dunque ancora una volta nella piana di Ilio, che tanto sangue ha già visto cadere per i colpi di lancia e spada degli intrepidi Achei e dei valorosi Troiani.

L’Iliade, più che una normale opera letteraria, si presenta al lettore greco antico, e quindi anche a noi, come un vero e proprio manuale di comportamento del guerriero, dell’uomo virile e libero, pronto a lottare certamente, ma neanche del tutto avulso dalle regole di buona condotta tra pari.

È proprio sotto le mura di Troia che Diomede, eroe descritto da Omero come tra i più valorosi e feroci tra i sovrani Achei, si accingeva dunque a tramandarci un’altra importante lezione. 

Dopo il duello tra Paride e Menelao, vinto dal legittimo marito della bella Elena, la battaglia contro le regole tornò ad infuriare per i capricci delle divinità olimpiche. Menelao venne ferito da una freccia scagliata a tradimento, ma gli Achei furono lesti a reagire e saldare i ranghi, scagliandosi contro le forze dell’odiato nemico. È in questa battaglia che Diomede si distinse più che in tutto il poema, ferendo o uccidendo ogni nemico che osasse sfidarlo, compreso il grande Enea, la bella dea Afrodite e il ferocissimo dio Ares.

I duelli individuali, nell’opera di Omero, assumono un valore pedagogico fondamentale. È solo tramite queste lotte, isolate nel mezzo della caotica mischia, che impariamo a conoscere veramente i protagonisti dell’Iliade, i loro tratti distintivi, i loro insegnamenti.

Ecco dunque che all’improvviso, mentre la battaglia infuriava, un valoroso Troiano si fece strada nello schieramento, ponendosi in segno di sfida di fronte all’imbattibile Diomede.

L’eroe Acheo, sorpreso, chiese al nemico di presentarsi prima di far cozzare le spade, e quello lo fece: era Glauco, figlio di Ippoloco e discendente della nobile stirpe di Bellerofonte, il mitico uccisore della Chimera. A quel punto, successe una cosa che lascerebbe basito chiunque: il sanguinario Diomede conficcò la lancia nel terreno e rivolse al nemico parole cordiali. Bellerofonte era stato antico ospite del suo avo Oineo, a cui aveva donato una ricca coppa d’oro che Diomede ancora ricordava nel suo palazzo reale ad Argo. 

Così disse dunque a Glauco:
“Io sono dunque per te ospite e amico in Argolide e tu in Licia, se mai io vi giunga. Non incrociamo le lance tra noi, anche se siamo in battaglia; sono molti i Troiani e gli illustri alleati che io posso uccidere […] Scambiamoci invece le armi perchè sappiano anche costoro che siamo ospiti per tradizione antica, e questo è il nostro vanto.”

E così fecero scendendo dai carri e stringendosi la mano, scambiando le splendide armi in oro di Glauco con quelle in bronzo di Diomede. Ciò perché non è il valore dell’oggetto che dà la misura di un dono, ma piuttosto il valore di chi lo concede.

Ecco dunque che da questo episodio impariamo a conoscere ancora un poco il mondo e il modo di pensare dei nostri epici antenati. Il Clan, la famiglia, è l’istituzione più importante per gli uomini liberi d’Europa e Diomede lo dimostra, rendendo onore alla stirpe illustre di un nemico in nome di un’amicizia certamente ormai antica, ma non per questo da dimenticare. Più che l’odio individuale, la brama di gloria e vittoria dunque, anche un feroce e impulsivo guerriero come Diomede riesce a trattenere il proprio istinto, rinnovando il sacro vincolo del suo Clan con un valoroso nemico, di campo avverso ma della stessa stirpe guerriera.