di Domus

Alla fine, ha dato i suoi frutti. Quel mostro dell’immigrazione incontrollata – sì perché con buona pace del centro-destra moderato quella controllata non esiste – si è finalmente palesato per quello che è.

Per troppo tempo – e benché se ne sia parlato fino allo sfinimento – la dura realtà delle conseguenze dell’immigrazione erano rimaste un fenomeno di nicchia, relegato a noi cultori dei giornali locali – gli unici in cui si riesca ancora a trovare un minimo di verità in una palude mediatica di bugie e omertà.

Per quanto poi Salvini riuscisse a indignare i suoi milioni di followers 50enni con foto e video dell’africano di turno che si lava nelle fontane storiche delle nostre città (rigorosamente tra altrettanti foto e video di paste e salumi), si trattava sempre di un “effetto” mediatico, di pura immagine. Si vede, ma si percepisce ancora come lontano.

Adesso, come dicevo, quel mostro si è palesato come titani che fuggono dal tartaro nel quale erano stati rinchiusi (ovviamente alla faccia dei cantori dell’integrazione): orde di seconde/terze/quarte generazioni escono per la prima volta dalle banlieue per riversarsi in strada a devastare, saccheggiare, aggredire indiscriminatamente con foga. A Parigi sono arrivati perfino nei centralissimi Champs-Élysées, giusto il giorno successivo che Macron (quello che ci dà dei disumani per mezza azione a difesa dei confini) ne avesse assicurato la sicurezza per turisti e residenti.

Vedere le immagini provenienti dalla Francia – evidentemente su Telegram e piattaforme simili che non peccano di censura – ci ha riportati tutti al 2020, quando guardammo con sgomento le peaceful protests in onore di George Floyd. Anche lì, come in questo caso per la morte di Nahel Marzouk a Parigi, si prese una scusa (neanche delle più legittime – ammesso e non concesso che ve ne possano essere) per devastare decine se non centinaia di città per tutti gli Stati Uniti.

Noi Europei, eredi delle più grandi civiltà del pianeta che viviamo da 80 anni importando cultura Made in U.S.A., finiamo immancabilmente per vedere le stesse immagini che arrivano d’oltre oceano poi riproposte anche qui nel concreto, nella nuda verità, a terrorizzare il borghese rintanato nella sua brasserie preferita o nel suo caldo e confortevole appartamentino da 300 mq con vista Tour Eiffel.

La Francia, una Terra tra quelle che meglio ci ricordano del nostro grande passato, è oggi una delle nazioni europee più vicina – assieme a Inghilterra, Irlanda, Svezia, Belgio e Germania – al bivio forse più importante della nostra storia millenaria: aut Caesar aut nihil, essere o non essere – ma sarebbe perfino meglio dire esistere o non esistere. In passato vi sono già stati momenti critici per la sopravvivenza della nostra civiltà, da quelli più remoti a quelli più recenti. Immaginiamo per esempio quale enorme dissesto possano aver creato le invasioni arabe della Spagna, la caduta di Costantinopoli e le invasioni ottomane in Europa orientale.

Oggi, però, rischiamo un malum enormemente più grande e pervasivo. Oggi rischiamo la nostra totale cancellazione. Certamente non si sente ancora quel clangore di spade e scudi della lotta vitale tra bizantini ed ottomani, ma lo percepiamo nel nostro profondo. Dentro di noi quel bivio, quell’estremo libero arbitrio tra vivere e morire, ci accompagna ogni giorno. Ed è molto più forte di qualunque rumore di acciaio contro acciaio. Anzi, forse preferiremmo il vero rumore del metallo unito all’odore del sangue.

La triste realtà è che l’Europa sta morendo nell’apatia e nell’indifferenza più totale. La nostra identità, la nostra storia, il nostro passato, il nostro sangue vengono cancellati nel silenzio. Un silenzio assordante creato con tonnellate di carta stampata e triliardi di byte per propagandare la nostra sostituzione etnica. Quest’ultimo, un processo sociale che è buono e giusto quando esiste, e che è fantasia da complottari stagnolati in testa se connotato negativamente.

La sostituzione etnica e culturale è però una realtà che prima o poi produce i suoi effetti. In Francia, come mostrano queste grafiche raffiguranti la percentuale di nomi arabi alla nascita (che comunque non evidenziano pienamente il fenomeno a 360 gradi), la sostituzione etnica è accelerata soprattutto negli ultimi 30 anni.

Quindi quale Gioventù radunare? Quale coraggiosa Gioventù potrà mai scegliere la Via della Vita dell’Europa, di fronte al bivio della sopravvivenza? Quale se la stessa Gioventù Europea sta sparendo nel silenzio e nel quotidiano si è stranieri in casa propria?

La nostra Storia, in quanto indoeuropei insediati in questa piccola penisola dell’enorme continente asiatico, è una storia dei “pochi contro i molti”, nata con il mito degli Heroi e dei Semidei. Pochi uomini guidano le più grandi “avventure collettive” – dalla creazione di nuove civiltà, al progresso e alla scoperta – che sono spesso frutto di altrettante grandi sofferenze e disfatte.

Nel buio comatoso – prima spirituale che materiale – vissuto dalla nostra Europa, non ci resta che guardare all’unico faro rimasto: la Gioventù che resta in piedi in questo mondo di rovine. Sono i pochi giovani che si ergono a difesa di Angers, di Lione, di Chambéry. Gli unici che trovano il coraggio di scegliere la Via della Vita e dell’Essere, schierandosi contro i “molti” a difesa della propria Terra mentre i vili e i timorati restano a guardare.

I loro nomi li conoscono solo le prefetture e le questure. Vivono, lottano e credono nel silenzio. Senza chiedere niente a nessuno, comandati solo dal loro cuore. Hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare, ma ci sono comunque e ci saranno sempre. Sono i veri eredi del nostro Sangue e della nostra Storia, e non potranno mai essere cancellati.

Un unico imperativo per l’anima: restare in piedi e illuminare il buio che avanza.

Europe, Jeunesse, Révolution!