di Domus

È chiaro che la dialettica democratica nella nostra nazione sta diventando sempre più limitata, a tal punto che pochi uomini e donne sono in grado di decidere la politica italiana, senza doversi più nascondere in segrete stanze e facendo tutto alla luce del sole.

Questo è uno degli elementi principali che caratterizzano soprattutto la politica della Seconda Repubblica ed è il risultato di un sistema elettorale e politico che impedisce un vero pluralismo (come millanta ipocritamente di fare dal ’46). Vi sono poi altri elementi da tenere in considerazione, quali i partiti di “cartone”, che dicono e non fanno, e le classi dirigenti inadeguate reclutate attraverso un sofisticato sistema di servilismo.

Per meglio comprendere certi meccanismi, poi, qualcuno potrebbe tenere in considerazione alcune osservazioni sull’elitismo come quelle fatte dal politologo siciliano Gaetano Mosca, esponente dell’omonima corrente che non può certo essere associato al Fascismo. Mosca notava – giustamente – che la vita politica è una continua lotta tra la minoranza che detiene il potere sulla maggioranza ed un’altra minoranza che di potere non ne ha.

Secondo questa chiave di lettura, evidentemente in sintonia con il pensiero elitista, non vi è possibilità di emancipazione della maggioranza. La maggioranza, quindi, può solo che essere guidata – consapevolmente o meno – da una minoranza.

Premettendo che tratteremo l’argomento solo da un punto di vista formale, senza parlare di ingerenze esterne, lobby, società segrete, et cetera, vediamo ora come si articola il sistema italiano.

Il regime democratico italiano – regime in quanto minoranza che domina sulla maggioranza – è caratterizzata principalmente dalla “partitocrazia” personalista, come dimostra l’analisi dell’organizzazione interna dei principali partiti: con Fratelli d’Italia che ha una sola “donna al comando” e il Movimento 5 Stelle che combina autocrazia e digitalizzazione. Forza Italia è un partito-azienda, anche se non si comprende ancora chi ne erediterà il pacchetto azionario; la Lega con uno statuto che assegna al segretario federale “ogni e qualsivoglia attività”; il Partito Democratico, in cui il segretario è anche un candidato alla premiership, nonché i cartelli elettorali minori spacciati per forze politiche autonome; sono tutti esempi della politica “liquida” della Seconda Repubblica che si basa su partiti personali.

Si dirà che Max Weber sosteneva che i leader politici affermati avessero “l’autorità carismatica”, da intendersi come “un potere legittimato sulla base delle eccezionali qualità personali di un capo o la dimostrazione di straordinario acume e successo, che ispirano lealtà ed obbedienza tra i seguaci”. Tuttavia, secondo questa ulteriore chiave di interpretazione e notando le “eccezionali qualità personali” e lo “straordinario acume” dei principali leader politici italiani, è lecito chiedersi se di capi politici veri ne esistano ancora o se i seguaci di questi siano davvero così ispirati a “lealtà ed obbedienza”.

La realtà è che la democrazia in Italia sta giungendo ad uno stadio terminale, di assoluto degenero e putrefazione. Potremmo visualizzare questa fase come la democrazia che divora la democrazia, tanto che da vent’anni si evoca la Terza Repubblica quasi come per nobilitare la degenerazione dell’altro ieri: “eh gli anni ’90 quando almeno c’era Berlusconi a dare lavoro agli italiani”.

Questo processo ha – come tutti i processi degenerativi che crescono gradualmente – raggiunto un nuovo stadio nell’ultimo decennio quando si è preso a governare di crisi in crisi, tra tecnici e burocrati. Quasi che non ci possa essere più nient’altro a legittimare questo stesso sistema politico.

Oggi si sentono invocare continuamente “i migliori” e la necessità della loro venuta messianica per salvare capre e cavoli. Per tagliare un po’ il debito di qua e per ridurre un po’ i contagi di là. Farebbe ovviamente ridere se non stessimo parlando di milioni e milioni di persone che nel frattempo sono costrette a una vita sempre più miserabile.

Tuttavia, di “migliori” non ne possono nascere da questo sistema democratico marcio fino al midollo. Il pietoso tentativo di rifarsi una verginità palesando a più riprese l’oligarchia che il belpaese lo domina da sempre, vedasi i due Mario, è un ridicolo castello di carte destinato a crollare al primo venticello di rivolta.

Nel mondo al contrario, per “migliori” dobbiamo dunque intendere i “peggiori”. Quelli che più si discostano dal senso puro e sano di “Aristos”, quindi dal modello platonico-aristotelico dell’Aristocrazia. Già i due pensatori greci ne avevano identificato la degenerazione nell’oligarchia e, proprio perché – per tornare a Mosca – una minoranza deve stare al potere, è necessario che la minoranza sia la migliore.A noi, in quanto minoranza “in attesa del nostro turno”, l’invettiva di Cicerone rimane utile per appellarci agli oligarchi – di più alto e basso grado – della partitocrazia italiana: “fino a quando, dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”