Di Sergio
Chi si aspetta di vedere un film di genere rimarrà sicuramente deluso: Rebel Moon sfida i
canoni ed incrocia generi, remixando tanti riferimenti cinematografici, letterari e mitologici per
dare vita ad una science-fiction con un alone di mistero weird. Ecco perché la critica lo ha
aspramente – anzi direi acidamente – stroncato: vuoi per i temi messi in mezzo da questa space
opera che formano uno strano unicum nel panorama Netflix (ma ci torniamo dopo), vuoi
perché Zack Snyder ha messo in ballo tutto un immaginario simbolico e di riferimenti mitici
che hanno sicuramente fatto storcere il naso a molti nasi lunghi delle critiche
cinematografiche. La redazione di Wired Italia ha infatti sentenziato:“Nonostante tanta
spettacolarità e omaggi cinefili, il film è lento, noioso e obsoleto”. In effetti come può non
essere obsoleto per il 2023 un’avventura che sembra ripercorrere le strade dei cicli medievali
con eroi e personaggi che assomigliano sia ai cavalieri del Graal sia ai 47 Ronin di De Morant?
Come può non confondere un film in cui buoni e cattivi sbiadiscono e perfino i secondi
sembrano avere un “codice d’onore”? Altre piattaforme sono state più oneste e si sono limitate
ad osservare come Rebel Moon abbia spaccato pubblico e critica: come riporta Multiplayer
Italia “i voti su Rotten Tomatoes dimostrano che agli spettatori piace, mentre ai recensori non
molto”; mentre Style Magazine si è limitato ad un limpido “fantascienza tamarra ma godibile”
(chi si aspettava diversamente da un film di Snyder?). La realtà però è che di “tamarro” –
verrebbe qui da chiedersi da quando la fantascienza è diventato un campo di critica per fighette
col ditino alzato dato che è sempre stato un genere di rottura ed indecenza – c’è sì l’azione e
una buona dose di spacconeria ma anche molti strati di significati nascosti agli occhi di chi non
sa vedere.
Rebel Moon è per molti versi un “classico”: molti elementi della space opera di Snyder fanno
eco alle grandi saghe che tutti conosciamo, Star Wars e Dune su tutti. Ma non è una questione
di plagio quanto di tradizione: quando si vuole portare guerra, politica e magia nello spazio
siderale non si può non fare i conti con i giganti creati da George Lucas e Frank Herbert, il
primo per giunta dichiaratamente ispiratosi al secondo a dimostrazione che una purezza del
genere non è mai esistita perfino per i cult più inscalfibili. È un po’ come quando si ha a che fare
con la narrativa d’avventura: ci sembrerà sempre di scorgere un pizzico di Odissea o
Argonautiche, ogni pirata sarà sempre Long John Silver ed ogni ragazzino Peter Pan. Rebel
Moon quindi incorpora una trama classica, ovvero un grande regno (Imperium) completamente
votato alla conquista ed un manipolo di uomini e donne eccezionali che decidono di opporsi.
Su questa trama però vengono gettati come piombo fuso alcune simbologie e significanti che
rendono l’opera di Snyder se non unica, quanto meno peculiare e degna di attenzione senza
troppe spocchie.
Una monarchia secolare che per millenni ha combattuto e conquistato in ogni angolo dello
spazio conosciuto vive una fase d’interregno in cui il potere viene conteso da sovrintendenti e
generali -qualcuno ha detto Il Ritorno del Re? È una società “spartiata” votata alla guerra come
strumento di liberazione, nonostante la famiglia reale sembri conservare in una piccola erede
poteri taumaturgici che potrebbero cambiare segno ad un regime di violenza incontrollato.
Quindi ecco, di fronte ai nostri eroi non si staglia una Compagnia mercantile senza scrupoli tipo
Weyland ma una società guerriera che fonda sul furore guerriero la sua morale: un incrocio tra
uno stato prussiano e una tribù berserker. Gente con cui non si tratta o mercanteggia, ecco: o
tutto o niente. Scomodi direi.
Nella prima parte del film si capisce perché la critica lo ha stroncato: i personaggi principali
prendono il via da una piccola e risoluta comunità agricola quasi “neo-norrena” che lavora
senza ausilio di macchine – “all’antica” – perché “crediamo che il duro lavoro ci connetta con
questa sacra terra e con i nostri Dei”. L’aratura dei campi sotto le luci di altri pianeti rende le
prime scene molto suggestive, rese poi magnificamente con una colonna sonora di primissima
qualità. Insomma nessun eroe immigrato, solo gente ben piantata e radicata nella sua
comunità pagano-agricola. No la sceneggiatura non è di Walther Darrè ma è proprio quel che
sembra: sangue e suolo da difendere.
A questo punto fa irruzione l’elemento che spezza l’idillio bucolico, ovvero una nave da
battaglia in cerca di ribelli che finirà per scatenare essa stessa una ribellione un po’
raffazzonata e guascona, ma non mi spingerò oltre. Mica si posso raccontare due ore di film: vi
basti sapere che avanzando nella ricerca di alleati per la propria rivoluzione, l’eroina Kora
metterà su quella “sporca dozzina” con cui ogni rivolta può avere inizio. Avanzando il film buca
i generi e passa dalle atmosfere Western a quelle più dark, da quelle cyberpunk a quelle più
epiche. Un fatto questo che potrebbe non piacere a chi ama i confini netti e ben marcati di un
genere: si può comprendere se qualcuno si trovi impreparato ad un grifone spaziale. In attesa
quindi della seconda parte in arrivo ad aprile e delle extended edition ci limitiamo ad osservare
un “unicum” nell’offerta visiva Netflix.
Nessuna wokeness, nessun compromesso con il politicamente corretto e nessun riferimento
a femminismo e quote rosa. Nessuna moraletta, soprattutto. Per tutto il film vige uno strano ed
anacronistico senso dell’onore – fa anzi strano che il più detestabile tra i personaggi è colui che
tradisce e si vende mettendo a repentaglio l’insurrezione. Perfino la volontà di potenza
irrefrenabile del Mondo Madre sembra seguire un’etica cavalleresca: basti pensare che il
Generale Balisarius, ovvero colui che in teoria rappresenta la nemesi della rivolta, viene
descritto come un uomo che guida i suoi uomini non da una torre lontana ma in prima linea, e
per di più è il padre adottivo del personaggio principale. La situazione si complica
notevolmente quindi per chi volesse trovare bene e male in questo film. Ultima nota positiva è
che Rebel Moon non fa nessuna morale sulla tecnologia, anzi, ci lascia aperta la storia di un
personaggio che speriamo trovi completezza nella seconda parte: il robot Jimmy, ultimo
superstite di un vero e proprio ordine d’élite della famiglia reale che però dopo l’assassinio del
Re e della sua figlia “santa” smettono di combattere e diventano custodi della memoria e dei
miti del regno. Una sorta di samurai senza più padrone, o meglio, senza un’ideale superiore da
servire. Il robot si rivela decisivo già nella prima parte del film, quando con il suo arrivo insieme
alle forze di occupazione del villaggio agricolo, riuscirà a bypassare la sua programmazione
grazie ad un brusco “risveglio”. E la scena finale ci fa presagire un passaggio di stato della
macchina: infatti il robot prima spoglio è vestito di un mantello e indossa sulla testa un palco
di corna di cervo come un arcaico sciamano dei boschi. Cos’è successo? È ancora una
macchina o siamo di fronte a Cernunnos? In attesa della risposta consigliamo questa bomba
a mano firmata Snyder che tra simbologie, mazzate e tanti piccoli dettagli che si riveleranno
solo ad occhi ed orecchie attenti e chi vi lasciamo scoprire da soli, ci regala un’epopea science fantasy da godersi senza paraocchi e pregiudizi.