di Enrico

Nella scorsa settimana abbiamo assistito, durante il voto al Senato sull’autonomia differenziata, all’ennesima buffonata. I senatori del Partito Democratico mentre la votazione era in corso hanno intonato l’Inno di Mameli, in segno di protesta contro la proposta del governo.

Il problema qui non è il cosa, ma il chi. Nell’aula di Palazzo Madama l’Inno nazionale è stato intonato da chi ha fatto qualunque cosa fosse in suo potere per distruggere l’Italia in ambito culturale, identitario ed economico.

Ma dall’altra parte? Dall’altra parte c’è qualcuno che possa considerarsi degno di cantare i versi scritti da Goffredo Mameli, prima di morire a soli ventun anni difendendo la Repubblica Romana?

Tralasciando le ormai scontate considerazioni su partiti di governo che predicavano la secessione o che ci hanno ricoperto di ridicolo a livello internazionale, il punto fondamentale su cui interrogarsi è questo: se da un lato abbiamo una sinistra anti-italiana, esiste dall’altro lato una destra realmente nazionalista e identitaria?

Alla prova dei fatti sembra di no. Il governo più a destra della storia repubblicana (come è stato definito da diverse testate) si è attenuto su molti aspetti a quella che era la linea dei governi precedenti (Draghi in primis). E quando prova ad atteggiarsi come una destra nazionalista riesce costantemente a tramutare il tutto in un “patriottismo” da operetta.

Alcuni esempi: il ministro Sangiuliano che, se non utilizza la parola “Nazione” almeno tre volte al giorno non è contento (precisiamo, di per sé non sarebbe una cosa sbagliata, ma se questa parola non viene poi seguita da azioni concrete in quella direzione, il tutto si riduce ad una buffonata), il ministro Lollobrigida che rilascia dichiarazioni su “sostituzione etnica” ed “etnia italiana”, per poi ritrattare subito e chiedere scusa all’opposizione e alla stampa col cappello in mano.

A ben vedere, atteggiamenti di questo tipo sono propri di tutta la maggioranza di governo. Ma ciò non si limita solo a delle “sparate” o simili. Riguarda soprattutto il campo delle azioni governative; alla prova dei fatti questa destra non si dimostra poi così tanto meno anti-italiana della sinistra. Prendiamo ad esempio il tentativo di riforma, attualmente in iter legislativo, dell’istruzione, nello specifico degli istituti tecnici e professionali, voluta dal ministro Valditara.

Questa riforma è stata concepita in un’ottica di spesa pubblica, di incremento dell’istruzione a beneficio delle scuole e del territorio? NO; gli unici a beneficiare di questa saldatura tra scuola e lavoro, nel segno del liberismo più sfrenato, saranno i privati come grandi aziende e multinazionali. Cosa c’è di nazionalista e patriottico in tutto questo? Ben poco, anzi assolutamente nulla. Difesa del lavoro locale zero, incremento dell’istruzione in un’ottica di crescita concreta e spirituale della Nazione neanche a parlarne.

Tornano alla mente in casi come questo, in cui a farla da padrone è la reazione nel senso peggiore del termine, le parole con cui Curzio Malaparte nel 1923 sulla rivista “L’Impero” commentava il modo in cui la suddetta reazione andava smantellando il mito della Nazione e del Risorgimento. Tornano alla mente ora che al governo c’è una reazione che invece si riempie la bocca di parole come “Patria” e “Nazione”:

«La Rivoluzione Italiana dell’ottobre (n.d.r.: Per differenziarla dalla Rivoluzione d’ottobre russa) non può e non deve ripetere gli errori del Risorgimento, finito in malo modo nel compromesso antirivoluzionario del Settanta, che preparò il ritorno al potere attraverso il liberalismo, la democrazia, il socialismo, di tutti quegli elementi borbonici, granducali, austriacanti, papalini che avevano sempre combattuto e bestemmiato l’idea e gli eroi del Risorgimento».

In conclusione, per rispondere alla domanda del titolo, “chi è l’erede di Mameli?” possiamo dire che non stanno tra i banchi dell’opposizione ma, alla prova dei fatti, di certo non stanno neppure tra quelli della maggioranza di governo.