di Alessia

La pandemia da covid sembra ormai essere per ognuno di noi, solo un lontano ricordo. Ma non è così per tutti, soprattutto per chi, in quegli anni di reclusione, avrebbe dovuto trovarsi tra i banchi di scuola piuttosto che a casa. 

Secondo una recente ricerca (Human Nature Behaviour), la pandemia ha infatti compromesso l’apprendimento di moltissimi bambini, amplificando ancor di più le disuguaglianze educative tra questi ultimi, già influenzate dal  contesto socio-economico da cui derivano.

La pandemia ha pertanto sconvolto, oltre che l’apprendimento dei bambini e adolescenti, anche la loro intera vita. Costretti per due anni alla relazione e alle lezioni online, tramite aule virtuali, che hanno consentito ai docenti di fare istruzione in una modalità alternativa, o per meglio dire, fare un passaggio di informazioni.

In risposta a questa esigenza, i governi si sono mobilitati per approvare l’utilizzo di tecnologie alternative, le quali hanno acquistato un numero spropositato di licenze per insegnanti e studenti, rispondendo alle esigenze dei sistemi scolastici di tutto il mondo per permettere di fare lezioni online sulle apposite piattaforme.

L’utilizzo su larga scala della tecnologia digitale ai fini dell’insegnamento, ha permesso di supportare lo studio dei ragazzi in maniera palliativa. 

Software come come Moodle, Google Classroom, Teams si sono rivelati fondamentali per la gestione dei corsi online, la consegna dei compiti e la condivisione dei materiali didattici.

Ma siamo realmente sicuri che non abbiano costituito un pericolo? 

A rivelarlo è una recente revisione elaborata di Human Rights Watch che ha indagato in maniera approfondita la sicurezza di questi dispositivi. L’approvazione per l’uso dell’EdTech ha permesso l’accesso ai dati di milioni di minori, esponendo le loro informazioni sensibili e determinando una sorveglianza di massa della vita dei bambini.

Dei Software EdTech esaminati, il 56% ha dimostrato di essere in grado di raccogliere dati sensibili degli utenti, minori inclusi, e i loro dispositivi, per tracciare, profilare e indirizzare pubblicità agli studenti. 

Una parte di essi, inoltre, non è tenuto a raccogliere i consensi degli utenti attraverso una politica sulla privacy, in tal modo queste app negano a bambini, genitori e insegnanti ogni diritto.

Ad allarmare in particolare, è la possibilità che l’accesso ad informazioni così sensibili possano fornire anche dati sulla posizione fisica di un minore: dove vive, dove va a scuola.

In un’indagine del New York Times, si è evidenziato come siano necessari unicamente due dati precisi sulla posizione dell’utente per verificarne l’identità: nell’indagine, è bastato infatti tracciare il percorso quotidiano di un bambino da casa a scuola, per risalire alla sua identità.

L’esempio più acclamante è quello dell’app Diksha, di proprietà e gestione del Ministero dell’Istruzione indiano. Impiegato durante la pandemia, è stato scaricato da oltre 10 milioni di persone, offrendo lezioni online, libri di testo, compiti a casa. 

Secondo recenti indagini, Diksha,raccoglie senza consenso dati precisi sulla localizzazione dei bambini, compresi data e ora della loro posizione attuale, concedendo l’accesso di questi dati a società terze come Google Firebase Analytics e Google Crashlytics già incorporati nell’app. 

Per farla breve, sembra che Diksha condivida dati sensibili dei bambini con Google per scopi pubblicitari sotto la protezione del Governo che nega quanto realmente accade.

Sono molteplici le applicazioni individuate per le lezioni online che condividono dati a società terze per uso commerciale, come molteplici anche le aziende che seguono i bambini online fuori dall’orario scolastico, nella loro vita e nel tempo libero, impiegando come porta di accesso le stesse aule virtuali a cui i bambini accedono per fare lezione. 

La responsabilità primaria è proprio dei governi, direttamente coinvolti nelle violazioni dei diritti su scala mondiale. Dei 42 governi che hanno consentito l’accesso all’istruzione online, 39 di loro hanno permesso a società terze di governare i dati personali dei bambini.

La consapevolezza di Internet nei paesi in via di sviluppo è assai limitata; attirati e stimolati dai contenuti selezionati dall’algoritmo, talvolta controversi, gli utenti vengono catturati, e spesso si tratta proprio di bambini.