di Alessia

Dal 2017 si stima che siano circa 1 milione i civili arrestati e condannati dal governo cinese nella regione dello Xinjiang. Uomini e donne detenuti in quelli che vengono chiamati centri educativi, perché appartenenti ad una minoranza musulmana, quella degli uiguri, da anni ormai repressa e costretta al lavoro forzato per snaturarne l’identità religiosa e culturale.

Il silenzio-assenso sul piano internazionale è stato per anni mantenuto grazie ad un’alibi per reprimere il dissenso, quello dell’estremismo religioso.

La persecuzione degli uiguri ha origini e radici storiche ben profonde, tanto quanto la loro esistenza a partire dal II secolo a.C., ma solo negli ultimi anni le sempre più frequenti indagini da parte di organizzazioni internazionali e inchieste giornalistiche, hanno permesso di dare un nome a questa persecuzione nascosta dietro il binomio di islam-terrorismo, che è in realtà un genocidio.

L’immagine in sovrimpressione descrive una condizione di repressione, e raffigura una delle centinaia di fabbriche di acciaio con cui il governo Cinese, negli ultimi 3 anni, ha tappezzato milioni di metri quadri nella regione di Xinjiang.

Fabbriche come queste sono costruite all’interno dei numerosi complessi di internamento, in una vasta rete di campi di detenzione nei quali rinchiudere le persone e costringerle al lavoro forzato.

Strutture proibitive come queste, fanno parte della campagna senza precedenti del governo di detenzione di massa di oltre 1 milione di persone iniziata nel 2016, obbligate a sorveglianza costante tramite telecamere, riconoscimento facciale e tracciamento dei telefoni. Nonostante i riflettori puntati sulla questione, sono di recente identificazione 268 complessi in nuova costruzione, oscurate dai sistemi Maps cinesi e invisibili nelle immagini satellitari.

Ne costruiscono sempre più, e crescono di pari passo all’espazione della detenzione di massa che oggi intrappola centinaia di persone in complessi di internamento tagliati fuori dal mondo. Proprio dallo Xinjiang vengono esportati una vasta gamma di prodotti, la maggior parte destinati a produttori statunitensi ma anche in tutto il mondo, e non è un caso che le fabbriche dei campi di detenzione siano profondamente intrecciate con l’economia della regione. 

Il lavoro in fabbrica al loro interno rientra in uno schema politico ben preciso, basato sul lavoro coercitivo e il controllo sociale, tutto ciò attuato sotto il titolo e il pretesto della riduzione della povertà: qui, sia il contesto industriale che educativo sono essenzialmente controllati dallo stato per facilitare l’indottrinamento politico e il divieto delle pratiche religiose, in cui la vita religiosa stessa oltre che familiare, diventano solo una questione di tempo. 

Infatti, mentre la maggioranza degli uiguri adulti e di altre minoranze vengono collocati in diverse fabbriche ad alta intensità di manodopera, i loro figli, inclusi bambini sotto l’età prescolare, vengono inseriti in contesti di formazione a tempo pieno. 

Formazione e lavoro forzato nello Xinjiang sostengono il grande progetto di Pechino di mantenere la popolazione minoritaria ai margini dello stato, raggiungere la riduzione della povertà spingendo gli abitanti delle zone rurali verso il lavoro salariato in fabbrica, promuovere la crescita economica lungo la via della seta oltre che ultimo, ma non meno importante, rendere glorioso il Partito ed essere quanto più coerente con i suoi principi fondamentali.

Sradicare la povertà per creare una società prospera nell’intera nazione entro il 2020 è un’obiettivo urgente nella regione dello Xinjiang, che qui segue uno schema che bersaglia e interna le minoranze etniche su larga scala, accompagnato da un massiccio controllo e sociale che equivale ad un vero e proprio genocidio culturalmente mirato.

Alleviare la povertà su rete capillare è un progetto che coinvolge ogni singolo cittadino, per farlo il governo impiega elenchi dettagliati sullo stato lavorativo, i redditi individuali o familiari di ogni adulto e il superamento del livello ufficiale di povertà.

Il piano di lavoro del governo dello Xinjiang per il 2020 prevede che tutti coloro che sono in grado di lavorare debbano essere formati e impiegati nel lavoro salariato ad alta intensità di manodopera.

Nello Xinjiang, collocare le persone nel lavoro salariato è un obiettivo ideologico. Come sostenuto dal governo cinese, aderire allo stile di vita moderno ha il potere di liberare le minoranze arretrate dai loro stili di vita tradizionali e retrogradi…e in questa regione rifiutarsi di collaborare al programma è una ragione sufficiente per essere inviati in una struttura di rieducazione, inclusa in un pacchetto di indottrinamento spacciato per ‘formazione professionale’