di Alessia

La minaccia ai diritti delle donne esiste, ma non in Italia. 

Aprile 2024, Gambia: Almammeh Gibba è il deputato che il mese scorso ha presentato al Parlamento gambiano un disegno di legge che mira a revocare il divieto di mutilazione genitale femminile per sostenere “la purezza religiosa e salvaguardare le norme e i valori della nostra cultura”. Mgf, ovvero ogni pratica in cui gli attributi genitali esterni delle donne vengono parzialmente o totalmente mutilati secondo ragioni culturali e religiose. 

Oggi in Africa risulta essere una delle principali cause di morte tra le bambine e le giovani donne nei paesi in cui viene praticata. Radici di una cultura inumana che alimenta da secoli questa pratica in almeno 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente su donne e bambine in età prescolare. 

Cultura, che rende il Gambia uno tra i 10 paesi con il più alto livello di mutilazioni genitali femminili effettuate e che nel 2021 ha sottoposto il 75% delle donne a qualche tipo di mutilazione genitale nonostante la pratica sia considerata reato penale a tutti gli effetti dal 2015. Il 73% delle ragazze e delle donne in Gambia di età compresa tra i 15 e i 49 anni hanno riferito di essere sopravvissute e queste pratiche, e più del 20% sottoposte all’infibulazione, in cui la zona genitale viene tagliata e cucita parzialmente o totalmente.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità non esiste alcuna giustificazione medica a questa pratica.

Il disegno di legge presentato è già stato approvato dalla camera bassa del Parlamento: 42 dei 47 membri del parlamento monocamerale del paese hanno votato per ritirare il divieto di queste pratiche.  Nel mese di giugno tale proposta dovrà essere esaminata da alcune commissioni del governo, e se approvata, il Gambia sarebbe il primo paese al mondo ad eliminare la difesa e la tutela in atto contro le pratiche di Mgf, depenalizzandola. Privare le donne di una parte funzionale del proprio corpo è essa stessa l’espressione di una disparità di genere estremamente profonda che ancora oggi caratterizza questo meccanismo di oppressione in molteplici paesi del continente africano.

In Italia, l’ipocrisia delle femministe progressiste non ha tempo per questo. Ammutolita a difendere teorie di genere, gridano vendetta al maschilismo e sono spinte da insulse ideologie che non permettono di provare orrore nel vedere l’immagine di una bambina infibulata da una macchina di tortura scambiata unicamente per cultura.