Di Jean

Diretto da David Fincher e ispirato dall’omonimo romanzo di Chuck Palaniuk, “fight club” è certamente uno dei film più iconici degli ultimi decenni. 

Il protagonista, nella pellicola interpretato da Edward Norton, è un ragazzo di trent’anni della classe media che conduce una vita  alienante e priva di senso. Fisicamente fuori forma e smanioso di acquistare l’inutile, meglio rappresenta al meglio la moderna piccola borghesia . Un giorno, al ritorno da un viaggio di lavoro, scopre che il suo appartamento che maniacalmente arredava di continuo, è stato distrutto da un incendio.  Essendo rimasto senza un tetto chiede ospitalità ad un ragazzo da poco conosciuto: Tyler Durden. Egli è l’esatto opposto del protagonista: se quest’ultimo ha un lavoro frustrante ed è schiavo del consumismo, Tyler lavora autonomamente producendo sapone e vive in una casa fatiscente, forse occupata, noncurante degli agi del mondo moderno. 

Dopo essersi presi a pugni fuori da un pub attirando così l’attenzione dei passanti, Tyler e il protagonista fondano il fight club.  Ogni sabato sera nel seminterrato di un locale si tengono incontri di boxe. I partecipanti lottano fino allo sfinimento. Poco importa se si finisce col naso rotto o senza un dente: quel che conta è combattere col solo scopo di sentirsi vivi in un mondo mediocre e apatico.

Le scazzottate del sabato sera non bastano per ribellarsi contro quel sistema opprimente che ci costringe a fare lavori che odiamo e comprare cose che non ci servono: occorre attuale una vera e propria rivoluzione. I lottatori del fight club, con a capo Tyler Durden, fondano il progetto Mayhem, un gruppo terroristico i cui obiettivi sono i simboli di quel sopracitato sistema opprimente come negozi di tecnologia o sedi di multinazionali. 

RIBELLIONE E SENSO DI APPARTENENZA

Ispirato da Tyler Durden, il protagonista si libera dei costrutti della società borghese. Se dapprima si presenta al lavoro sempre con un abbigliamento impeccabile e si dimostra ligio dell’obbedienza al datore di lavoro, successivamente il suo aspetto diventa più trasandato. Col volto tumefatto per i pugni del sabato sera, passa le giornate lavorative scrivendo poesie incurante dei suoi doveri fino al giorno in cui, in seguito ad una pesante litigata col capo, viene licenziato finendo così a lavorare con Tyler. L’ex colletto bianco obbediente e consumista compulsivo ora produce sapone con grasso umano e vive in una catapecchia diroccata raggiunta a malapena dalla corrente elettrica. Quello che secondo la visione borghese e consumista è un fallimento, è per il protagonista una liberazione. Egli infatti, dapprima insonne e fisicamente fuori forma, da quando ha cambiato vita dorme benissimo, aiutato forse dall’esercizio  fisico che non automigliorarsi al fine di diventare bello come i modelli delle pubblicità (“l’automiglioramento è masturbazione”, afferma Tyler) ma per riscoprire la sua mascolinità e la sua forza. Fondando il fight club con Tyler, il protagonista si accorge di non essere l’unico che prova a sbarazzarsi della propria fittizia identità borghese. In quel seminterrato ogni sabato sera decine di uomini che durante la settimana hanno un’occupazione normale si prendono a cazzotti fino allo sfinimento. In palio non c’è nulla: solo l’euforia della sfida, il brivido dello scontro. 

Un’occasione di confronto con altri uomini ma innanzitutto  con se stessi e i propri limiti. In un mondo in cui l’uomo è svirilizzato qualche ora di sana violenza è la soluzione per ritrovare la propria vera natura, liberandosi così di quella maschera pirandelliana che si indossa il resto della settimana. Non è un caso infatti che i combattenti hanno l’obbligo di stare a petto nudo e si combatte sempre uno contro uno, rigorosamente a mani nude e senza protezioni. Non è una vergogna farsi del male ma morire senza alcuna cicatrice perché significa che non si ha vissuto a pieno. 

Essere membri del fight club vuol dire far parte di una realtà sconosciuta e segreta di difficile accesso(non è un caso che abbia sede in un seminterrato) e ai membri è proibito di parlarne. Ma non è solo un club di boxe clandestino come pensa la polizia. Il fight club è un manipolo di uomini ancora virili, coraggiosi, svegli in un mondo di narcotizzati dal consumismo. Gente che non teme il dolore e che accoglie con gioia la sfida nella propria vita. Una compagine che ben presto di trasforma in una milizia rivoluzionaria, il progetto Mayhem,  di uomini pronti a sacrificare se stessi per un’ideale più grande. Una rivoluzione certamente apolitica e priva di una ideologia nel senso novecentesco del termine ma non manca di una precisa visione del mondo. 

“Nel mondo che vedo uno si muove con gli alci, tra le umide foreste dei canyon intorno alle rovine del Rockefeller Center [….]” dice Tyler Durden. Abbandonare uno stile di vita consumista opprimente per vivere una vita frugale, distruggere i simboli del capitalismo far esplodere i grattacieli per voler tornare all’età della pietra.  Forse solo allora potrebbe rinascere un’umanità nuova.