Di Andrea
Sempre più spesso ormai sentiamo parlare della possibile reintroduzione del servizio di leva militare obbligatorio. In queste settimane, infatti, abbiamo assistito ad un botta e risposta tra il Vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini con il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il primo, rinvigorendo un tema storicamente caro in casa Lega, ha caldamente espresso la volontà di ripristinare la cosiddetta naja sostenendo che “il servizio militare obbligatorio aiuti il processo di crescita dei giovani”, mentre il secondo, esprimendo un parere contrastante, ha sottolineato come “le forze armate hanno bisogno di professionalità, non è un luogo dove insegnare o educare i giovani”.
In Europa, al momento, sono nove le nazioni dove è presente la leva obbligatoria (Cipro, Grecia, Austria, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia e Danimarca), con altre, Italia e Germania su tutte, che ci stanno facendo un pensiero.
Lo scoppio e il proseguo costante del conflitto in Ucraina, oltre alla creazione di nuovi scenari di guerra, ha fatto tornare nel Vecchio continente il pensiero che, forse, la tanto sbandierata “pace” e “tranquillità” non sia una condizione immutabile ed eterna.
Ma quali sono realmente, senza le vuote parole e slogan da campagna elettorale, le prospettive di una possibile reintroduzione del servizio militare? Soprattutto per coloro i quali ne sarebbero maggiormente interessati, ovvero i giovani.
Innanzitutto, bisogna partire dal presupposto che al trionfo della odierna società neoliberista liberaldemocratica in Europa è seguito, parallelamente, il progressivo disfacimento dei vari servizi di leva all’interno dei relativi Stati. Dalla considerazione, derivata dalle influenze della Rivoluzione francese e dall’epoca napoleonica, che l’apparato militare di un determinato Stato dovesse essere la rappresentazione incarnata della mobilitazione dell’intera nazione si è poi passati a relegare l’esercito a “soldati di professione”, un lavoro come un altro.
Questa idea, tipica delle società capitaliste che mercificano ogni aspetto della realtà, ha portato così a concepire la difesa nazionale solamente come un altro “mercato” tra i tanti.
A questo aspetto se ne lega uno ulteriore di carattere geopolitico. L’assoluta dipendenza dell’Europa, sia dal punto di vista politico che militare, agli Stati Uniti e conseguentemente alla Nato ha contribuito al ridimensionamento del settore militare (uomini e armamenti) ed alla creazione di un sentimento comune di inutilità di tutto ciò che si rifacesse ad un impegno effettivo nell’esercito nazionale.
Lasciando da parte i soliti discorsi moralisti e conservatori su “l’ordine e disciplina” della leva e di come “io al militare ho imparato a fare il letto”, un’organizzazione seria e funzionale del servizio militare, oltre a mettere in contatto giovani provenienti da ambienti culturali ed estrazioni sociali diverse, servirebbe a consolidare un senso di appartenenza, di sacrificio e di partecipazione verso un qualcosa di superiore rispetto alla solita comodità borghese.
Così facendo si uscirebbe dalla bolla dell’individualismo egoista figlio di questo tempo per scoprirsi membri attivi di una comunità che si può riunire anche sotto un’uniforme e in un campo di battaglia se necessario.
Il nichilismo del degrado neoliberale ha prodotto una società inerme, avvilita e disinteressata, la reintroduzione del servizio di leva può riportare alla luce o creare da zero un’identità collettiva per la quale valga la pena battersi, ovvero i propri confini, la propria terra e la propria civiltà.
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