Di Nilo

Trascorsi poco più di 20 giorni dall’efferato omicidio del 21enne Willy Monteiro Duarte ad opera di quattro concittadini (tre di loro sono detenuti a Rebibbia mentre il quarto si trova ai domiciliari) vogliamo, per mezzo di questo scritto, offrire al lettore un utile strumento affinché sia in grado di comprendere la recente disputa inerente al reato contestato.

Il 12 settembre la Procura di Velletri, dopo i risultati dell’autopsia sul corpo del giovane ucciso a Colleferro, ha cambiato il capo d’imputazione per i quattro arrestati: da omicidio preterintenzionale ad omicidio volontario.

Il rapporto fra omicidio volontario e preterintenzionale è complesso, sottile e riaffiora ogni qual volta si verifica la morte di un uomo come conseguenza di percosse o lesioni (si pensi al Caso Floyd che ha visto come protagonista l’ex agente di polizia di Minneapolis Derek Chauvin accusato dapprima di omicidio preterintenzionale e in un secondo momento di omicidio volontario).

Andiamo per ordine.

L’omicidio volontario, anche detto omicidio doloso, è disciplinato dall’art.575 c.p. e richiede la rappresentazione e la volizione -animus necandi- dell’evento morte. Se Tizio spara a Caio, rappresentandosi e volendo la sua morte nel momento in cui compie l’azione, verrà punito ex art.575 con una pena non inferiore ad anni ventuno (fatte salve le eventuali aggravanti o attenuanti).

L’omicidio preterintenzionale richiede, per essere compreso, più attenzione. Un delitto è preterintenzionale (praeter= oltre l’intenzione) quando dalla condotta deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente.

Se Tizio vuole percuotere (art.581 c.p.) o ledere (art.582 c.p.) Caio e nel farlo ne causa involontariamente la morte risponderà, qualora l’evento morte sia concretamente prevedibile, di omicidio preterintenzionale.

È chiara dunque la struttura: l’autore pone in essere una attività illecita di base (percosse o lesioni) e da queste deriva la morte di un uomo, morte non voluta ma concretamente prevedibile.

L’omicidio preterintenzionale è disciplinato dall’art.584 e prevede la reclusione da dieci a diciotto anni (fatte salve le eventuali aggravanti o attenuanti); il trattamento sanzionatorio è, comprensibilmente, più tenue rispetto all’omicidio volontario: l’autore non voleva cagionare l’evento morte.

Poste le premesse possiamo passare dal piano astratto a quello concreto.

Quattro ragazzi, in concorso, hanno cagionato lesioni ripetute a Willy, lasciandolo morto in una pozza di sangue. L’organo giudicante dovrà andare in interioribus hominibus, chiedendosi se gli autori del fatto volevano o no il triste esito.

Dati i risultati dell’autopsia (o forse determinanti sono state le pressioni dei media?) era doveroso per il PM mutare il capo di imputazione e portare a processo gli imputati con l’accusa di omicidio doloso. Ma si sarà in grado di provare in tribunale “al di là di ogni ragionevole dubbiò” che i fratelli Bianchi e co. volevano uccidere?

Saranno determinanti gli elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta. Ad esempio il fatto che il pestaggio sembri essere durato al massimo 1 minuto va a vantaggio degli imputati, viceversa la conoscenza delle arti marziali sarà sicuramente enfatizzata dalla pubblica accusa.

Nel concludere mi rendo conto di aver forse messo “troppa carne al fuoco”, portando una riflessione più profonda rispetto ai tweet di Chiara Ferragni aventi ad oggetto questa vicenda. Me ne scuso.