di Michele

Puoi essere il supereroe più potente del mondo, una sorta di semidio invincibile, e nonostante questo avere come principale preoccupazione l’andamento dei tuoi punti di gradimento, del tuo merchandising e di come ti percepisce la gente?  Per Patriota la risposta è evidentemente “sì”. Dato che questo è quello che gli accade.

Patriota è il principale supereroe del gruppo dei Sette, che sarebbe un equivalente della Justice League del mondo di The Boys,e ovviamente Patriota è il suo Superman. Ma visto che la serie vive del ribaltamento dei canoni del genere, Patriota è il villain.

Tratto dall’omonimo fumetto scritto da Garth Ennis, The Boys è stato fin da subito un grande successo. Uscito nel 2019 per Amazon, è probabilmente una delle serie più conosciute e apprezzate dal pubblico degli ultimi due anni. Dissacrante, violento fino allo splatter, a tratti scandaloso e con una buona dose d’ironia, The Boys non passa di certo inosservato.

La serie è una caricatura del mondo patinato dei supereroi. Bene e male si confondono in zone d’ombra. Gli eroi vengono malamente buttati giù dal loro piedistallo ideale e ne vengono messe in mostra le ipocrisie. Li scopriamo fin troppo umani, crudeli, insicuri, egoisti. Anzi, la serie ondeggia continuamente fra l’umanizzarli ed il demonizzarli. È quasi lo spettacolo della Grande Parodia, dell’Anticristo. Il tutto inserito nei meccanismi del mondo dei social media e del marketing.

La trama ruota attorno ad un gruppo di persone per così dire comuni, appunto i Boys, che tentano di smascherare le azioni criminali della Vought, l’azienda che gestisce i supereroi. Ma in attesa della terza stagione cerchiamo di capirci qualcosa di più.

Nonostante pesanti cedimenti al politicamente corretto, dalle molestie stile me too fino a personaggi come Stormfront, in cui vengono messi insieme Trump, l’alt-right, il suprematismo ed il nazismo, si potrebbe leggere l’intera serie come rivolta dal basso contro le élites. Una sorta di populismo o di sovranismo anti-supereroi. La Vought rappresenta l’establishment, poiché possiede i diritti sullo sfruttamento dei supereroi che di fatto dominano la narrazione pubblica, e allo stesso tempo è un’azienda privata che erode la sovranità dello Stato. Tutto si basa su una menzogna: l’origine dei supereroi. Questi non nascono dal nulla, non sono una sorta di miracoli, piuttosto sono frutti di ricerche di laboratorio. È il composto “V” a dare i superpoteri, non Dio o la natura. Dietro alla facciata rassicurante della Vought si nasconde una sorta di complotto farmacologico.

È curioso come su questo aspetto la serie si approcci con il tema della religione. La serie ci va parecchio duro con il cristianesimo, soprattutto contro quel mondo di predicatori protestanti molto americano. Infatti, nella serie uno di questi predicatori è un supereroe che nasconde la propria omosessualità ed il proprio libertinaggio. Al di là di queste facilonerie, che qualcuno potrebbe scambiare come prova dell’essere politicamente scorretto della serie, il cristianesimo qui viene inteso come una giustificazione della gerarchia imposta dai super, in quanto miracoli viventi voluti da Dio, quasi come una versione supereroistica della dottrina della predestinazione calvinista. 

Ovviamente la serie tende a mettere in cattiva luce questa giustificazione religiosa, proponendoci una certa dose di ateismo e disillusione. La religione è una struttura di potere come altre, fondamentalmente ipocrita e falsa. Sono la scienza e gli egoismi personali a creare i supereroi. Siamo ancora nella logica del popolo contro le élites. La religione, in questo caso il cristianesimo, non sarebbe nient’altro che un ulteriore modo per nascondere la verità.

Ma per non essere i no-vax del composto “V”, bisogna fare un passo in avanti. Proprio come nel mondo reale certo sovranismo boomer non riesce a capire, il problema non sono le élites in sé, ma che queste non adempiono al proprio ruolo, sono al loro interno vuote, predicano la debolezza e non la forza. Il problema non è che ci sia un alto e un basso, ma che questi termini si confondano e vengano invertiti, e che anzi il basso sprofonda sempre più in basso come Lucifero dinnanzi al quale, nella caduta, la terra si sottrae e fugge.

Inconsapevolmente tutto questo viene rappresentato nella serie. La Vought intende il potere unicamente come interesse economico. Non c’è visione. Il grande complotto è una banale strategia aziendale. Il modo in cui ricerca ossessivamente un riconoscimento statale, tradisce la propria debolezza, come se lo Stato fosse effettivamente garanzia del potere e non la forza che la Vought possiede in abbondanza.

Ciò è ancora più vero per i super. Al posto che dimostrarsi effettivamente superiori, mettono in atto veri e propri processi di dipendenza verso la massa. Quella stessa massa che essi potrebbero distruggere in un istante, ma che invece li domina. Per la maggior parte di loro piacere al pubblico significa fare parte dello show business, avere caterve di soldi, vivere sopra le regole, in altre parole essere star hollywoodiane. Questo mondo di appagamenti materiali e di edonismo è controbilanciato dai compromessi che ciascuno di loro deve fare per mantenere la propria immagine pubblica.

Torniamo a Patriota. In lui questo meccanismo giunge al parossismo. Paragoniamolo per un momento al Dottor Manhattan di Watchmen. Il fumetto di Alan Moore può essere messo in parallelo a The Boys. Infatti, anche in Watchmen c’è un conflitto fra opinione pubblica e supereroi. Al grido di who watch the watchmen il popolo li fa mettere al bando. Ma questi sono solo uomini mascherati, non hanno veri superpoteri. Tutti, tranne il Dottor Manhattan. Egli è morto e risorto, ricostruendosi come in un processo alchemico, può tutto. Al contrario di Patriota, il suo potere qualsiasi cosa succeda, lo porta ad allontanarsi dalla materia, come in un cammino di realizzazione spirituale. Quando il Dottor Manhattan viene messo sotto accusa in un talk show, semplicemente se ne va su Marte, in contemplazione dell’ordine profondo del cosmo.

Patriota è invece ossessionato dall’opinione pubblica. Questa compensa in maniera malata il suo bisogno di appagamento emotivo. Inizialmente ciò viene espresso nella sua relazione morbosa con la Stillwell, ma poi ci accorgiamo che ne è solo un simulacro. Come alla ricerca di una Grande Madre che lo accolga e lo culli, Patriota non sa staccarsi dall’opinione pubblica. È ricattabile. Finisce per sottomettersi e agire contro sé stesso pur di piacere. Un po’ come accade per le democrazie secondo Jefferson, che continuamente corrono il rischio di non essere altro che la dittatura dell’opinione pubblica, Patriota ne è incatenato. La sua forza non gli vale nulla, è schiavo degli altri per eccesso di vanità.

Sul lato opposto abbiamo i Boys, che sotto molti punti di vista sono degli emarginati, degli ousider. Di certo non brillano per motivazioni, anzi scadono in banalissimi cliché familiari come Butcher che cerca sua moglie o Hughie che vuole vendicare la sua ragazza. Ma almeno scelgono di non essere delle vittime. Accettano l’orrore che hanno di fronte e la propria debolezza, ma nonostante questo ingaggiano battaglia. Incarnano lo spirito tragico che è proprio dell’eroe. Non lo fanno perfettamente. Credono anch’essi fin troppo nel potere dell’opinione pubblica e nella politica. Progettano di gettare fango sulla Vaught e creare scandalo, come degli scadenti giornalisti d’inchiesta, come dei complottisti che gridano alla verità.

La zona grigia della serie non è allora quella dove bene e male si mischiano fino a confondersi, ma quella in cui a mescolarsi sono le ragioni dei Sette, dei Boys e di un po’ tutti. La serie tenta apertamente di distruggere, ribaltare e decostruire un’idea preconcetta di bene, ma lo fa maldestramente. La moralità di un bene magari preconfezionato, bigotto, semplicistico come poteva essere quella del mondo dei supereroi non viene negata, ma sostituita, perché in fondo nell’universo di The Boys un “ideale” superiore c’è ed è l’opinione pubblica. È quest’ultima l’idolo di fronte al quale tutti vanno ad inchinarsi, il mostro che esige sempre nuove vittime sacrificali. Ma è soprattutto questa che incatena l’agire ad una falsa visione moralistica. Adorare l’opinione pubblica significa, infatti, adorare la massa, significa seguire ciò che Nietzsche chiamerebbe una morale da schiavi, significa sottomettere la forza del superuomo alla mediocrità della moltitudine.