Di Bianca

Nella modernità siamo sollecitati da informazione di varia provenienza e natura, costantemente immersi in un sistema di ricezione e scambio di aggiornamenti, opinioni e condivisioni, prontamente sostituiti da altri senza conoscere tregua. L’informazione però è sempre stata presente, in ogni tempo e in ogni insediamento della civiltà umana. 

Ciò che è indubbiamente cambiato è la reperibilità delle notizie, orma consultabili in qualsiasi momento. Gli effetti di questa rivoluzione dell’informazione si sono dimostrati più evidenti che mai durante l’anno scorso, circostanza in cui gli italiani, rinchiusi in casa e privati di ogni svago, o per meglio dire: incapaci di trovarne nuovi, hanno trovato sfogo attingendo ai media. Essi sono diventati in breve tempo la principale valvola di manifestazione emotiva in uno stato di reclusione collettiva, diventando però talvolta mezzo di assuefazione inghiottendo inevitabilmente molti nella spirale del cosiddetto “doomscrolling“.

Con il termine “doomscrolling” si intende la dipendenza dalla lettura delle notizie, specie quelle negative. La volontà compulsiva di mantenersi aggiornati, con appunto un ripiego verso le novità meno gradevoli tale da doverle cercare spasmodicamente.  

Una sbronza mediatica, per intenderci, così come la appella anche Svart Jugend in “Fuori piove sangue”: il dibattito è uno show, l’opinione pubblica si erge a giustizia e gli utenti si impongono come giudici e carnefici, riducendo la notizia a un semplice pettegolezzo con vita breve e destinato al dimenticatoio generale. Quanti boom di tweet e hashtag hanno toccato l’apice del pathos con quell’omicidio o quello stupro, con quell’aggressione o quella rissa? Cosa ne rimane ora? “Avevano fatto tanto casino“, scrive ancora Jugend, “e adesso non si ricordano un cazzo.” 

Ci ritroviamo, quindi, nella situazione in cui sono i media stessi a parlare di questa dipendenza dalle cattive notizie (e, nei casi peggiori, addirittura dell’ansia che ne deriva) essendo loro stessi però i primi promotori della fonte di dipendenza. Il paradosso risulta tristemente ironico, ma degno di una riflessione da parte di chi possiede un minimo di spirito critico. 

La domanda da porsi a questo punto è: quindi cosa porta tutto ciò?

Questo fenomeno porta, più o meno direttamente, a un ulteriore passo avanti nel controllo dell’informazione, nello specifico, alla delegittimazione di un certo tipo di informazione. Si è a conoscenza della dipendenza dai media e l’informazione ai social. Viene data l’illusione che le notizie meritino tutte la stessa importanza, ma risulta poi evidente che certe notizie sono più uguali di altre. Come risulta poi evidente che certi individui, o certe testate, non possono esprimersi liberamente e portare il proprio contributo all’informazione.

Come sottolineato prima, infatti, si è venuto a creare il paradosso in cui “lo spacciatore della sostanza che crea la dipendenza” si fa al tempo stesso “volontario della comunità di recupero”, così facendo riesce a demonizzare le fonti non allineate alla sua visione come promotrici di mala informazione che porta appunto a generare il doomscrolling, creando a sua volta un circolo vizioso potenzialmente senza fine.

La validità di una fonte non è più solamente fondata sulla qualità della fonte in sé, sul suo contenuto o su come questo viene esposto, ma per lo più dall’esposizione soggettiva alle varie “tragedie” contenute nel bollettino quotidiano.

Viene promossa l’approssimazione più estrema dell’informazione, l’obiettivo ora è ridurre al minimo indispensabile la conoscenza dell’attualità del lettore, circoscrivendo sempre di più la voglia di approfondimento su un determinato argomento.

L’essere costantemente investiti da notizie negative poi, crea disillusione e rassegnazione ai lettori più o meno incalliti, portando alla certezza di vivere nel peggior scenario possibile e immaginabile. Limitata quindi anche la singola realtà individuale (dalla politica in questo caso), non c’è da stupirsi su come ne abbia risentito la complessiva percezione del mondo dei lettori, arrivando infine all’incapacità di contestualizzare con razionalità.

Tornando quindi al bilancio dell’ultimo anno segnato da lockdown di ogni genere e tipo, pochi sono riusciti a “evadere” dalla quotidianità così meccanica e soffocante tra le mura di casa sviluppando nuovi interessi e coltivando sé stessi. la maggior parte, priva della possibilità di realizzarsi nella realtà, l’ha completamente abbandonata a favore delle testate online, dove ha ritrovato quell’azione che tanto era venuta a mancare nella vita di tutti i giorni. Trovando poi però riscontri poco soddisfacenti, ovviamente, si ritorna a quella frustrazione citata in precedenza. 

Arrivati a questo punto è chiaro che il problema non siano le notizie negative in sé, dato che l’uomo ci convive fin dall’alba dei tempi e anche perché un mondo senza eventi negativi non sarebbe possibile. La questione si focalizza sulla reazione “manipolata” rispetto a queste notizie. Lo spirito critico, ormai diventato una rarità, benché indispensabile non è sufficiente affinché la metabolizzazione avvenga in maniera consapevole, esso infatti deve essere anche liberato dalla passività che affligge sempre di più l’uomo moderno. 

Diventa necessario domare e contestualizzare l’informazione senza subirla, così da sapersi orientare nella modernità come individuo pensante.