Di Sergio

È il film del momento, anche se – va detto – iniziamo ad essere saturi di film e serie sui vichinghi. Stranamente il nostro mondo, mai stato così lontano dalle civiltà guerriere del passato – sia culturalmente che ideologicamente – rimane stranamente attratto da qualsiasi cosa che grondi rune, pelli di lupo ed omicidi brutali sotto la luce dell’aurora boreale. Chiamatelo fetish, chiamatelo opposti che si attraggono, ma il successo di serie come Vikings, arrivata adesso ad un’altra (ennesima) serie spin-off o di film come Valhalla Rising confermano che il trend norreno non è mai stato in posizioni così alte. I vichinghi ci piacciono e non sappiamo (o non sanno) perché. The Northman non soffre di arrangiamenti politicamente corretti, come è accaduto invece per le serie netflix: tutti sono al loro posto, tutti bianchi, tutti etero. Gli uomini fanno gli uomini, le donne fanno le donne, il destino tesse la sua trama e quel che ci aspetta è la morte. Il film non soffre di eccessive filosofie e la trama resta quella di una storia già vista, tra l’Amleto di Shakespeare e il Gladiatore di Scott. Niente di nuovo, certo, ma un usato garantito. Il personaggio principale infatti si chiama Amleth e la storia ricalca quel tipo di vendetta personale del principe danese e di Massimo Decimo Meridio, ma invece che nei fasti dell’Impero romano si dipana tra le anse di ghiaccio e fuoco del grande nord. La potenza del film è tutta qui. Una storia semplice, un ciclo che si auto-conclude senza troppi panegirici, dotata di visioni ed ambientazioni senza eguali che regala scorci di potenza estetica formidabili. Possiamo tranquillamente affermare che The Northman è il nuovo Gladiatore o il nuovo Ultimo Samurai o il nuovo Le Crociate, senza alcun dubbio. Però la pellicola risente (a parere di chi scrive) del clima del suo tempo.

The Northman è un film individualista, senza pretese di uno scopo più alto per il personaggio se non concludere nel sangue un viaggio iniziato nel sangue. Nessuna luce, nessuno scorcio ideale se non la ferina volontà di annichilirsi nella vendetta. Amleth sa già come andrà a finire, fin dall’inizio, forse siamo noi a sperare durante l’arco delle due ore del film in un risultato diverso. Nessun regno in terra da conquistare, nessuna rivolta da guidare, nessun fiore perfetto alla fine di una carica disperata. Il film non è corale, il personaggio si muove solo in un mondo con più ombre che luci, il cui unico desiderio è la vendetta spietata e disumana. Attenzione, questo non vuol dire che sia un brutto film o che non vada la pena di vederlo. Siamo noi ad essere abituati ed innamorati di una guerra più romantica, ma la vendetta ha pur sempre il suo fascino mitico ed estetico e comunque il film ci restituisce con una cura maniacale dei dettagli e con scene “oniriche” superlative ed iperboree, il sapore antico del sangue e del destino.

Infatti, il film di Eggers non aspira a farci la morale. Già per questo andrebbe ringraziato. Non tenta di vedere nel passato ciò che è simile a noi, ma quello che Rudolf Otto nel 1917 definì come totalmente altro: “l’estraneo… ciò che riempie di stupore, quello che è al di là della sfera usuale, del comprensibile, del familiare, e per questo ‘nascosto’, assolutamente fuori dall’ordinario, e colmante quindi lo spirito di sbigottito stupore. È l’impressione che rimane sulla retina dopo la furiosa danza dei guerrieri lupo berserkr, dopo il rito sciamanico dell’aria soffocante con cui il piccolo Amleth viene iniziato al mistero della regalità, dopo la cavalcata furiosa della valchiria che schiude le quattrocento porte del valhalla, dopo l’albero boreale che giganteggia sui mari d’Islanda dopo la tempesta.È più il gusto della tragedia a venirci incontro, molto teatrale, quella senza fronzoli o abbellimenti ideali. Sono le Norne ad annodare i fili del destino, sono gli uomini a scegliere cosa farne, consapevoli che una morte gloriosa è l’unica cosa che conta alla fine dei propri giorni. Nonostante questo rimane dell’amaro alla fine del film, perché anche se finisce come deve finire, permane il buio, anche se la storia è destinata a ritornare.