di Bologna

Nonostante quello Italiano sia un popolo molto frammentato e fieramente rappresentativo delle sue peculiarità locali, se ci inoltriamo nelle radici profonde della nostra storia non possiamo evitare di metterne in evidenza i tratti comuni.

Ci basti pensare al grande fermento di popolazioni nell’Italia centrale in un’era proto-storica, Umbri, Piceni, Sabini, Latini, sorte evidentemente da un ceppo comune e poi separatesi per le contingenze della loro epoca con il fenomeno delle “Primavere Sacre” o “Primavere di Marte”. Queste grandi migrazioni guerriere, di cui abbiamo già parlato in un articolo precedente sul mito di Dardano, differenziarono i popoli Indo-Europei giunti nella nostra penisola ma allo stesso tempo tramite il profondo legame con il dio Marte, ne conservarono la comune radice.

Il culto per Marte comune alla grande maggioranza dei popoli Italici ha inevitabilmente comportato anche la sacralizzazione di alcuni animali che proprio a Marte sono cari. Questi animali diventarono quindi un patrimonio comune del nostro paese, talmente radicati nel nostro immaginario da rimanere iconici anche dopo la sconfitta della concezione Pagana.

Oggi ne vedremo due, forse i più rappresentativi della nostra identità: il picchio e il lupo.

Entrambi gli animali sono indissolubilmente legati alla storia di Romolo e Remo, mentre la lupa allattava i pargoli abbandonati infatti, il picchio porgeva loro piccoli pezzetti di cibo nella bocca. I due animali dunque, profondamente legati alla figura di Marte (che dei gemelli era il padre) diventano al tempo stesso nutrici e genitori del fondatore di Roma e del suo gemello.

La storia dei due animali e il loro legame con la nostra Terra non si limita però al mito di fondazione di Roma, ma ha radici ben anteriori alla stessa nascita dei gemelli Marziali.

I Piceni infatti, popolo che fa risalire le sue origini al X secolo a.C., fanno risalire l’etimologia del loro nome proprio a Picus, il picchio verde sacro a Marte. Non sono certo i soli: Strabone afferma come i Sabini, secondo un’antica leggenda, furono guidati alla loro terra proprio da un picchio durante il rito della “Primavera Sacra”.

Anche il lupo non è da meno nell’immaginario collettivo degli ancestrali popoli Italici. Pensiamo agli Irpini, il cui nome deriva dall’osco Hirpos, che significa appunto Lupo. Alcune particolari tribù dei Sanniti hanno alle origini della propria Primavera di Marte un Lupo e anche i Lucani, con un condottiero chiamato Lucius, fanno risalire la propria origine ad Apollo Lukeios, appunto l’Apollo Lupo.

Questi animali assunsero un significato quasi totemico, di protezione e tutela del nostro popolo, tanto è vero che vedere un lupo prima di una battaglia era considerato un presagio di grande fortuna tra i Romani. Tutt’oggi utilizziamo l’imbeccata “In bocca al lupo” per augurare del bene a qualcuno ma la corretta risposta ad un tale augurio non è sempre stata l’iconico “Crepi!”, derivato probabilmente dalla favola di cappuccetto rosso. Ad un tale augurio la tradizione vuole come risposta il ben più giusto “Viva il Lupo!”; questo perché essere portati in bocca dall’animale equivale a ricevere una protezione quasi fanciullesca, il lupo lo fa con i suoi cuccioli!

Pensiamo anche alla figura del più “Italiano” tra i santi: San Francesco. Egli è noto per aver ammansito il Lupo di Gubbio, ma questa docilità della bestia nei suoi confronti non va letta semplicisticamente come un addomesticamento.

Con l’arrivo dei Longobardi cristianizzati in Italia infatti il Lupo venne demonizzato e dipinto come la bestia selvaggia e ferale che ancora oggi si ha spesso in mente. Il colloquio tra il Lupo, animale di certo non scelto a caso, e San Francesco andrebbe quindi inteso come una “riconciliazione” tra questa arcana figura totemica e il nuovo aspetto Cristiano.

Viviamo purtroppo nell’era del consumo e della meccanizzazione; l’Uomo si è sottratto ormai da tempo al suo posto nell’equilibrio del ciclo naturale e cerca di ergersi sempre più in una posizione di predominio rispetto alla Terra su cui vive, con tutti i danni che ciò comporta. Riscoprire che nelle radici del nostro popolo questi animali sacri ebbero un ruolo di primo piano ci fa riflettere senza dubbio sul ruolo che dobbiamo assumere di protezione di questa Terra e delle sue caratteristiche.